Pagina:La fine di un regno, parte I, 1909.djvu/34

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"Sacra Real Maestà,

" La città di .... in provincia di ... . per proprio convincimento è persuasa ed ha riconosciuto dalla esperienza dei tempi trascorsi, che il regime costituzionale non conduce in questo Regno al pubblico bene ed al vero ed onesto progresso sociale, ai vantaggi del commercio e dell’agricoltura, ad altro non avendo servito se non che ad eccitare le più abiette passioni, ed a garantire ed a garantire le mire anarchiche di uno sfrenato ed immorale partito distruttore di ogni pubblico bene e prosperità, nemico della religione e del trono e di ogni civil reggimento; partito che si avvale di tale regime, solo per avanzarsi a minare tutto l’edificio sociale di ogni virtù, manomettendo ogni diritto ed ogni ragione. L’esperienza di sì tristi frutti finora raccolti e la preveggenza delle future inevitabili sventure, che può arrecar a questo Regno, ha resa questa forma di governo antipatica e pesante alla sua maggioranza dei buoni e fedeli sudditi della M. V. Essi vogliono vivere sotto le paterne sante leggi della M. V., Augusto discendente di quella magnanima stirpe di Re, che ha tolto queste contrade alla condizione di provincie soggette a lontano dominio, che le ha ripristinate alla dignità di Regno indipendente, che a questo immenso dono ne ha aggiunti tanti e tanti colle sapienti leggi, di cui ha dotata la Monarchia.

"Queste leggi, o Signore, bastano alla felicità ed al beneficio dei vostri popoli. Essi con tutta l'anima, colle forze della loro coscienza, solennemente respingono la straniera rivoluzione, importazione di un regime non fatto per loro!

" Piaccia alla M. V. riprendere la concessione strappata dalla violenza e dalla perfidia colla violazione dei più sacri doveri, e preparata colle più sacrileghe ed inique mire settarie. Ritornino i popoli sotto l'unico potere del paterno Suo Scettro, e noi ed i nostri figli benediremo, colla restaurata potente forza della Monarchia assoluta, il nome sagro del nostro magnanimo buon Re Ferdinando II„.

La petizione aveva forma ufficiale, e però era difficile sottrarsi a firmarla, potendo il rifiuto aver quasi l’aria di una provocazione. La procedura era questa. Un agente di polizia la presentava al sindaco, che la sottoscriveva e faceva sottoscrivere dai decurioni, dai proprietari ed altri cittadini. Le firme erano autenticate dai pubblici notari. I sindaci, che si rifiutarono di firmare, veramente ben pochi, furono via via destituiti, dichiarati attendibili e tenuti d’occhio dalla polizia, come avvenne a Giuseppe Beltrani, sindaco di Trani, al quale la petizione fu presentata dal commissario di polizia, don Tommaso Lopez. Il mio amico Giovanni Beltrani, nipote dell’animoso sindaco, e felice raccoglitore di documenti storici caratteristici, trovò copia del documento fra le carte dello zio.