Pagina:La fine di un regno, parte I, 1909.djvu/349

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Quel buon vecchio suscitava così vivace entusiasmo fra i giovani colti, non solo per l’importanza delle sue opere e per la sua simpatica e bonaria figura, a cui i candidi capelli aggiungevano venerazione, ma perchè rappresentava tutto un passato di speranze liberali e il nome suo ridestava la fede in nn avvenire migliore. Storico, letterato, giornalista, presidente del ministero del 3 aprile, gli entusiasmi per lui ai confondevano con gli entusiasmi per la libertà della patria.

I dolori artritici rincrudirono ai primi del 1858, costringendo don Carlo, che li sopportava con grande rassegnazione e paragonava il suo stato alla miseria del maestro Adamo, a star quasi sempre in letto. Nel maggio si manifestò un leggiero miglioramento, ma fu di breve durata. Il male si aggravò e rese inevitabile e prossima la catastrofe. Quattro giorni innanzi la morte, furono a vederlo don Luigi Tosti e don Carlo de Vera, che egli accolse con grande compiacimento, trattenendoli in discorsi di storia e letteratura. Chiese di Don Vito Fornari, ma questi, gravemente infermo, non potè accorrere. Il canonico don Andrea Ferrigni lo confessò e gli somministrò il viatico. Il Ferrigni era professore di sacra scrittura all’Università e fratello di Giuseppe Ferrigni. Al presidente del Consiglio dei ministri, che andò a visitarlo il giorno prima della morte, don Carlo disse, sorridendo: “signor presidente e caro fratello, tutto è proceduto in regola„, volendo assicurarlo che si era confessato e comunicato. E assistito dalla moglie, dal Trevisani e da pochissimi intimi, Carlo Troja spirò all’alba del 28 luglio 1858.

II 29, nelle ore pomeridiane, si fecero le esequie, modestissime. Pochi frati, pochi preti. Nessun accompagnamento di rappresentanze pubbliche; nessun discorso in casa o in chiesa. Prima che la salma fosse composta nella bara, Sabino Loffredo, giovane di ardenti spiriti, che fu poi consigliere della Cassazione a Napoli, e scrisse la storia di Barletta, compiè un atto che parve temerità: tagliò furtivamente una ciocca dei capelli bianchi del Troja. Gli amici più giovani e più animosi ne seguirono il feretro: in tutto una trentina e, tra questi, un giovane non ancora ventenne, Francesco Bruni, ora presidente della Corte d’appello di Lucca, cui il Troja voleva gran bene perchè raccomandatogli dal Trevisani. Il presidente del Consiglio dei ministri non si fece neppure rappresentare, ma prese il lutto per la morte del fratello, perchè,