Pagina:La fine di un regno, parte I, 1909.djvu/437

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cameriera, donna Giovannina Lo Giudice ma le due donne, contendendosi l’onore di fare ’a capa1 alla duchessa di Calabria, si bisticciarono così clamorosamente, che Ludolf fu costretto a rimandarne una. Restò donna Nina, di certo più intelligente e vivace; e tornata l’altra in Napoli, andò in ogni parte narrando il caso suo, contandone di tutte le tinte contro la rivale, come napoletanamente si costuma, nè apparve più in Corte.


I giornali di Napoli ebbero tutti parole cortesi e auguri per il matrimonio. Il Nomade scriveva: “Ecco benedetto dal Cielo un legame, che riempie di gioia due Regni è compie i voti più cari dì due Reali Corti. Possa la loro gioia esser duratura, secondo gli auguri* reciproci degli uni e delle altre„. Auguri sinceri, perchè Francesco era ben voluto e poco conosciuto, ma si aveva gran fiducia in lui, come si ha generalmente nei principi ereditarli: fiducia alla quale risponde spesso, dopo che sono saliti al trono, il più malinconico disinganno. Tutti eran curiosi di vedere la sposa, che i giornali decantavano per la bellezza, per lo spirito e l’ardimento. Si diceva che, arrivando lei, la reggia si sarebbe riaperta alle feste ed ai ricevimenti; che sarebbe ritornata la Corte a Napoli, e un nuovo soffio di vita avrebbe rianimato tutto quel vecchio mondo aristocratico e brontolone, condannato all’inerzia, pur essendo così avido di svaghi gratuiti. Nessuno fece sinistri prognostici, anzi tutti bene augurarono da quella anione, che riscaldò la musa di tanti poeti, ispirò narrazioni iperboliche a prosatori, e procurò forse la morte di quel povero NiccolaSole, il quale, non sapendosi sottrarre agli inviti insistenti di scrivere la celebre cantata, che Mercadante musicò e fu poi eseguita al San Carlo, n’ebbe, egli già cantore dell’Arpa Lucana e autore delle stupende ottave sulla tomba di Alessandro Poerio, tale pentimento e dolore, che ne morì nel Natale del 1859.

Poi avrà luogo la gran cantata,
Da Mercadante già musicata,
E della quale fè le parole
Niccola Sole.

Cosi mordacemente verseggiava Carlo Zanobi Cafferecci in una specie di satira, dopo che egli stesso aveva stampato nel-

  1. Frase dialettale, che vuol dire pettinare.