Pagina:La fine di un regno, parte I, 1909.djvu/444

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Modestiniè, te vuoi sfizià ’nfaccia ’o muzzone, eh? E pigliatillo„.1 Rimontando in vettura, ricadde nel suo mutismo. Nella discesa di Monteforte, per quella strada serpeggiante con dolce pendio, che egli aveva fatto costruire dodici anni prima, allorchè, discendendo per l’antica via, era ribaltata la una carrozza, rimanendone incolume, Ferdinando II invitò la regina e i figli a recitare il rosario, in memoria dello scampato pericolo.

Era già notte, e i cavalli andavano adagio fra la neve. Alla borgata Speranza, quasi alle porte di Avellino, s’incontrò un plotone di guardie d’onore intirizzite e poche carrozze di autorità e di notabili, e fu udita rumoreggiare, fra tutte, la voce stridente e calabrese dell’intendente Mirabelli, che ossequiava i sovrani e i principi. Le guardie d’onore, dopo aver reso il saluto militare, presero il posto dei gendarmi attorno alla carrozza reale. Le comandava Giuseppe de Conciliis, e ne facevano parte parecchi giovani delle primarie famiglie. È da ricordare che ogni guardia d’onore doveva avere almeno una rendita di trecento ducati e mantenere il cavallo a proprie spese. Si giunse in Avellino alle sei e mezzo.

La città era illuminata e, nonostante il gran freddo, il popolo si accalcava per le vie. L’accoglienza però non fu molte clamorosa. Era corsa voce che il re mal avrebbe sopportato un chiasso smodato, e si confortavano gli zelanti con la speranza di preparare feste maggiori per il ritorno, cioè all’arrivo degli sposi. Il contegno di Ferdinando II non era tale da suscitate entusiasmi. Il corteo riuscì confuso e disordinato, e chi volle entrò nel palazzo dell’Intendenza, dove si erano preparati per il re e la regina tre stanze a un angolo del palazzo: quelle che si chiamano anche oggi appartamento reale, e formano i gabinetti del prefetto e del segretario. Su uno dei terrazzini di quei palazzo, sporgenti sul corso, che ora s’intitola Vittorio Emanuele, e allora si chiamava via dei Pioppi, Ferdinando II, quattro anni prima, sull’imbrunire di una splendidi giornata estiva, prendeva un gelato conversando con vari personaggi. Scorgendo sulla via alcune signore, che passavano in carrozza sventolando i fazzoletti, il re si sporse per salutarle, e nel fare quell’atto, gli scappò di mano il cucchiaino d’oro che cadde sulla strada. Era guardia del portone un vecchio

  1. Nèh, Modestiniello, vuoi gustarti il mozzicone, eh? — Prendilo.