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disse che un bicchiere era per Sua Maestà e uno per sè. Ferdinando II gli dichiarò di avere in lui piena fiducia; ma, nonostante, il dottor Leone bevve la pozione. Il re sorrise e bevve la sua. Dopo quella volta, egli prese qualunque cosa gli fosse ordinata dal medico, che successivamente gli prescrisse sale inglese, tartaro e olio di ricino, ma con poco sollievo dell’infermo, che, non potendosi levare, e volendo sentire ogni giorno la messa, ordinò che si preparasse l’altare sopra un tavolino, nella medesima camera sua. Monsignor Caputo celebrava il divino ufficio, assistito dai canonici Cosma e Campanaro, che furono poi nominati cavalieri dell’ordine di Francesco I. La regina sedeva accanto al letto del re e non l’abbandonava mai. Ella ed i principi si facevano servire il pranzo nella camera dell’infermo su di una tavola, che vi si portava ogni volta. Lunghi discorsi faceva il re col dottor Leone, il quale, pregato dalla regina, non abbandonava, neppure di notte, l’infermo. Un giorno Ferdinando II lo interrogò sulle idee politiche, ed alle dichiarazioni ricevutene replicò confutandole con un lungo discorso, nel quale si affermò il sovrano più liberale d’Italia. Nonostante le cure del dottor Leone, il male non accennava a cedere. Per maggior sicurezza la regina, fin dal secondo giorno, aveva telegrafato al dottor Ramaglia di partir subito per Lecce. Ma il Ramaglia arrivò cinque giorni dopo. Scese all’albergo, oggi del Risorgimento, e di là, in marsina e cravatta bianca, si recò all’Intendenza, tra la molta maraviglia di quanti videro questo vecchietto elegante e vispo, che nessuno conosceva, non alto di statura, ma dall’aspetto signorile c sorridente accompagnato da un giovane non più alto di lui. Quando poi si seppe che il primo era don Pietro Ramaglia, e il secondo il suo assistente Domenico Capozzi, che doveva più tardi acquistarsi un nome da uguagliare quello del maestro, cominciarono i primi sospetti sulla gravità della malattia. Giunto al palazzo il Ramaglia fu ricevuto dalla regina, che non gli volle far vedere subito il re per non allarmarlo, ma lo informò largamente del suo stato.
I due dottori ebbero un primo colloquio o consulto. Il Ramaglia, che aveva la debolezza, cresciuta con gli anni, di credere d’intuir le malattie senza esaminare l’infermo, giudicò, da principio, il male del re una febbre reumatico-biliosa. Il dottor