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Pagina:La fine di un regno, parte I, 1909.djvu/77

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adoperati, per rendere accetta la restaurazione, fu di tener basse le imposte, specie la fondiaria, che rappresentava l’uno e mezzo per cento sull’imponibile, allo scopo di favorire la classe dei possidenti. E poiché il Filangieri aveva imposto un piccolo aggravio di venti grana (85 centesimi) sulle aperture, cioè balconi, finestre e botteghe, e i proprietarii di stabili ne avevano mossa lagnanza al re, egli vi sostituì un lieve aumento addizionale sui fabbricati. La rivoluzione aveva abolito la tassa sul macinato, sostituendovi altri dazi, che poi non furono riscossi, e Filangieri decise di ripristinar quel balzello con un sistema di riscossione, che lo rese tollerabile. Il programma economico del governo napoletano era quello di riparare con la tastiera doganale alle inclemenze delle stagioni, regolando le esportazioni e le importazioni delle derrate alimentari, a seconda che il Regno era turbato dalla carestia, o favorito dall’abbondanza. Le ordinanze regie facevano il sereno e la pioggia, mantenendo un apparente equilibrio economico, ma le imposte basse impedivano i lavori pubblici in grande, indispensabili alla Sicilia e a tutto il Regno. Alla perspicuità del luogotenente tutto ciò non poteva sfuggire, e perciò, sempre nel fine di consolidare la restaurazione politica con miglioramenti economici, veri e concreti, egli immaginò tutto un piano di opere pubbliche, da costruirsi in un termine relativamente breve, elevando il tributo sull’imponibile fondiario dall’uno e mezzo al tre: aumento che poteva farsi senza serio pregiudizio dei contribuenti.

Fin dal giugno 1861, per mezzo del colonnello Tobia de Muller, del secondo reggimento svizzero di guarnigione a Palermo, il Filangieri aveva fatto chiedere all’ingegnere Chaley le prime notizie sui ponti sospesi; e dopo alcune lettere scambiatesi, invitò lo Chaley a Palermo per studiare i progetti sul luogo, anticipandogli le spese. Lo Chaley e Adolfo Sala compirono gli studi in sei mesi, e frutto di essi fu una rete completa di nuove e grandi strade, della complessiva lunghezza di 625 miglia, con otto ponti sospesi: le quali strade, nel numero di ventuno, erano distribuite in tutte le provincie dell’Isola.1 Il re ne autorizzò la costruzione con

  1. Le strade da costruirsi dovevano essere le seguenti:
    Strada del fiume Torto a Gioiosa per compimento della strada di Messina-Marina, per miglia 87;

    da Corda a Gangi, per miglia 54;