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Pagina:La fine di un regno, parte I, 1909.djvu/81

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La lotta tra Filangieri e Cassisi, divenuta oramai palese, fu anche inasprita da ragioni personali. Il principe, dubitando di reggere a lungo nella luogotenenza di Sicilia, aveva chiesto che la rendita del suo maiorasco fosse iscritta sul Gran Libro del debito pubblico di Napoli. Il re, concedendola a lui in premio della conquista della Sicilia, l’aveva fatta iscrivere sul debito pubblico dell’Isola. Il Filangieri chiedeva quindi una inversione, facendo invece gravare sul Gran Libro di Sicilia alcune rendite, che per l’equivalente somma erano iscritte sul Gran Libro di Napoli, come provenienti da istituti ecclesiastici dell’Isola. Cassisi si oppose, e il Re fu con lui. Ma il Filangieri, non dandosi per vinto, e forse ebbe torto trattandosi di un interesse tutto suo, propose che il maiorasco fosse capitalizzato con alcuni fondi abbaziali e di regio patronato. Fosse dubbio circa l’avvenire del debito pubblico di Sicilia, com’è lecito supporre, o fossero altre considerazioni, a Cassisi non parve vero di poter commentare col Re queste insistenze come prova d’indiscrezione, anzi d’indelicatezza addirittura. E neppure la seconda proposta venne accolta.

E v’ha di più. Da lungo tempo si agitava una grossa lite per antichi diritti feudali tra i benedettini di Catania e la famiglia Moncada di Paternò. Per riguardo ai suoi figli, il Filangieri aveva interesse a vederla finita. Una sentenza arbitramentale era stata pronunziata contro i monaci, i quali veramente avevano torto; ma, essendo ricchissimi, disponevano di potenti influenze, la maggiore tra le quali si affermava che fosse quella del Cassisi. Certo è che questi, contrariamente al parere della Consulta di Palermo e poi del Consiglio dei ministri di Napoli, concordi circa l’eseguibilità della sentenza a favore della famiglia Paternò, alla quale si sarebbe dovuta pagare la somma di oltre mezzo milione di lire (48 000 once), si ostinava a dar ragione ai monaci; e vi si ostinò tanto, che solo dopo il 1860 la sentenza fu potuta eseguire. Questi due fatti misero il colmo alla misura. "Io era già stanco — scriveva Filangieri nei suoi ricordi — della lunga lotta, nè più mi caleva di rimanere al potere dopo che, per esclusiva colpa di Cassisi, non ero riuscito a donare alla Sicilia un buon corredo di strade e di ponti„. E l’11 giugno 1864 si dimise con una lettera al Re, dove si legge: "Fino a che il cav. Cassisi non ha manifesta-