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Napoli, 16 novembre 1856.


L’impressione prodotta sull’animo della popolazione Napoletana dall’esecuzione del soldato Milano è stata e perdura ad esser grandissima, ed è di ben diverso carattere di quella che erasi risentita appena si ebbe l’annunzio dell’attentato sulla persona del Re.

Come già dissi, il popolo di Napoli fu compreso in quel momento da orrore e da sgomento, e la coscienza pubblica inorridiva al pensiero del tentato regicidio.

Ora però ascrivendomi innanzi tutto a dovere di ragguagliare Vostra Eccellenza nel modo più vero ed esatto dello stato dell’opinione pubblica, sono costretto dalla realtà del fatto a confessare mio malgrado ed all’incontro di quanto avrei mai supposto, che una notevole mutazione avvenne nel pubblico sentimento relativamente al deplorabile evento, ed a quel disgraziato soldato che commise il misfatto.

Non è a dire per fermo che la coscienza pubblica del popolo Napoletano sia giunta a tal punto di degradazione da non più distinguere l’onesto dal turpe: tutti gli animi sinceramente liberali professano qui la più grande avversione a questo attentato e lo condannano pubblicamente ed in questo retto convincimento l’opinione del popolo di Napoli potentemente è concorde: tuttavia però la condotta del Governo Napoletano, il contegno del colpevole; le sue dichiarazioni riguardo agli incentivi che lo strascinarono al delitto; i sentimenti di religione da lui dimostrati; le sevizie che gli furono usate; la irregolarità del processo e della pena; la grazia che si attendeva e tenevasi per certa, ed infine il principio di una più tremenda e crudele persecuzione, tutto contribuì a contenere quel primo sentimento di indegnazione e di ribrezzo che si era destato contro l’infelice Milano, e direi quasi se non temessi di andar troppo oltre, ad eccitare nelle masse una simpatica commiserazione, e forse anche più, per la persona del reo di si esecrando delitto.

Alcuni brevi cenni sulla miseranda fine del Milano getteranno un poco di luce su quel che io mi feci ardito di esprimere.

Alle ore undici del giorno 13 egli fu trasportato in carrozza, con fortissimo apparato di forze militari e di Polizia, alla Vicaria, e subito posto nella Capella del rifugio, dove ricevette con esemplare devozione i conforti della religione, i quali furono da lui stesso richiesti, appena conobbe la fatale sentenza. Alle ore 10 il funebre corteggio si avviò verso il Largo Cavalcatoio fuori Porta Capuana dove era inalzato il patibolo, e dove era un quadrato di truppe composto di tutto il terzo battaglione, e di un distaccamento di tutti i corpi della guarnigione.