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In seguito dell’attentato sulla persona di S. M. il Governo ha prescritto che diligenti e severi scrutinii si facciano nell’armata onde conoscere gli antecedenti, le relazioni ed il modo di pensare dei componenti la medesima. Otto soldati del 8° battaglione Cacciatori, due d’Artiglieria, uno della Guardia Reale, uno dei Carabinieri ed uno dei Lancieri, quasi tutti delle Calabrie e dei Comuni greci colà situati, furono sciolti dal vincolo militare ed inviati nei loro distretti sotto l’immediata vigilanza della Polizia per imputazione di cattiva condotta e di conoscenza ed amicizia col soldato Milano.

Il gendarme Atanasio Dramis, che si trovò compromesso a motivo di una lettera da lui scritta al Milano, fu espulso dall’armata e rimesso nelle mani della Polizia generale onde gli si istruisca processo.

Per sovrano rescritto, comunicato per via della Polizia, vennero sottoposti a giudizio penale, per l’ammissione, del soldato Milano nell’esercito, l’Intendente della Provincia di Calabria Citra, il Sindaco del Comune di S. Benedetto ed il Cancelliere della Gran Corte comunale. Si assicura che il Cancelliere avrebbe per denaro rilasciato una fede di perquisizione netta, mentre era notata d’imputazioni politiche.

Dietro una lista, che dicesi preparata dallo stesso Mazza, 800 e più provinciali, per la più gran parte Calabresi, vennero rimandati nei loro distretti. Questa misura ha gettato l’allarme in tutti i provinciali che trovansi in Napoli e che sono qui trattenuti per motivo dei loro affari.


Napoli, 27 decembre 1856.


.... tridui uffiziali ed i solenni Te Deum continuano senza interruzione dal giorno dell’attentato in poi e le colonne del Giornale del Regno sono ogni giorno ripiene d’indirizzi che le corporazioni anche le meno importanti e le più oscure di questi Stati rassegnano a S. M. in seguito del tristissimo avvenimento.

V. E. avrà per fermo gettato gli occhi su qualcheduno di questi indirizzi, e l’animo suo sarà stato compreso da dolorosa impressione dallo scorgere quanto disti, il linguaggio dei medesimi, da quei sentimenti di rispettosa e nobile devozione che animava il cuore di suddito fedele verso il suo Sovrano, scampato da gravissimo pericolo. Non mi soffermerò adunque sui medesimi, troppo increscioso ne è l’argomento: mi limiterò solo a rimarcare che le supreme Corti di Giustizia pur anco hanno nei loro indirizzi usate espressioni tali di adulazione e di impudente e raffinata ipocrisia, che le fibre di ogni onest’uomo ne son rimaste commosse. Senza