Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/108

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di tutti i libri pubblicati a Napoli nell’ultimo decennio, perchè era attribuzione sua, quale presidente del Consiglio generale di pubblica istruzione, permetterne la stampa. La formula sacramentale del permesso era: Si permette che la suindicata opera si stampi; però non si pubblichi senza un secondo permesso, che non si darà, se prima lo stesso regio revisore non avrà attestato di aver riconosciuto essere l’impressione uniforme all’originale approvato. Questi permessi, oltre la firma del presidente Capomazza, portavano quella del segretario generale Pietrocola, membro del Consiglio con voto.


I revisori non avevano niente da fare col Consiglio. Formavano un corpo distinto ed erano quasi tutti ecclesiastici. Sette, i revisori di libri provenienti dall’estero, con sede presso la dogana; e ventuno, i revisori delle opere che si stampavano nel Regno. Fra questi, tre soli laici. Il romoroso e faceto monsignor Salzano n’era il presidente e il sacerdote don Leopoldo Ruggiero, il segretario. Il Ruggiero fu poi arcivescovo di Sorrento e morì nel 1885. Figuravano tra i componenti il canonico don Rosario Frungillo, che resse da vicario capitolare la diocesi di Napoli alla morte del cardinale Riario Sforza, ed è, credo, l’unico superstite. I tre laici erano Calandrelli, Delle Cbiaje e Placido de Luca. Il revisore presso l’officina delle poste si chiamava don Giuseppe Salvo, sacerdote. Il celebre e balbuziente don Gaetano Royer era anche prete, ma già pensionato negli anni dei quali parlo. Però restò viva per un pezzo la memoria di lui, sul cui conto se ne narravano delle belle. Nel 1848 il Mondo Vecchio e Mondo Nuovo lo chiamava don Gaetano ir e or, scomponendone il cognome; e fare l’irre e orre, nel linguaggio dialettale, vuol dire essere indeciso o esitante e, spesso, di malafede. Si ricordava fra gli altri il famoso aneddoto del "perniciotto„. Essendo il Royer revisore teatrale, doveva ogni giorno vistare il cartellone del teatro dei Fiorentini. Una sera si rappresentava una vecchia farsa, nella quale il brillante, entrando in una trattoria, domandava la carta e ordinava un "perniciotto arrosto„. Don Gaetano vistò il cartellone senza la menoma difficoltà, trattandosi di una produzione vecchia e nota; ma la sera di quel giorno, essendoglisi preparata una cena di magro, si ricordò che era venerdì e che in quella farsa il