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Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/117

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Kellermann, signora di molto garbo. Giacomo de Martino, che i suoi amici chiamavano Giacometto, aveva fin d’allora fama di scaltro e d’irrequieto, e il Re non aveva molta simpatia per lui, perchè seccato dalle ammonizioni che don Giacomo gli faceva, riferendogli, troppo esattamente forse, le confidenze dei diplomatici esteri, soprattutto inglesi.


La diplomazia napoletana non ebbe in quegli anni, nè poteva avere iniziativa alcuna; si limitava ad osservare e a riferire, perchè mai, come negli ultimi anni del suo regno, Ferdinando II non fece politica estera in alcun senso; anzi, per impedire che se ne facesse o tentasse una, dopo il ritiro del Fortunato non ebbe più ministro degli esteri come si è veduto, ma un incaricato, al quale dettava egli stesso le note, concise, spesso maliziose e capziose. Per lui la diplomazia era l’arte d’ingannare la gente. Egli diffidava dell’Austria, nè volle accettare nel 1851 una proposta di confederazione in Italia, fattagli dall’Austria, a difesa comune. Non riteneva utile al Regno l’alleanza austriaca, reputandola quasi come una limitazione di quella indipendenza, della quale era geloso. Diffidava, per motivi diversi, della Francia e dell’Inghilterra, benchè fosse stato tra i primi a riconoscere Napoleone III; ma nella guerra di Crimea non nascose le sue simpatie per la Russia, accresciute dal fatto di vedere il Piemonte alleato alle potenze occidentali. Favorevole alla Russia durante la guerra, più ancora che non convenisse a Sovrano neutrale, non seppe avvalersi di questa potenza nel Congresso di Parigi, dal quale la reputazione di lui e il credito del Regno uscirono così malconci. Non una voce si levò a difesa del Re di Napoli; e quando il marchese Antonini si dolse col Walewski, che ai plenipotenziarii sardi fosse stato permesso di assalire il governo di Napoli, Walewski rispose che non era stato solo Cavour ad assalirlo; e diceva il vero, perchè gli attacchi erano venuti contemporaneamente da varie parti e avevano trovati indifferenti i rappresentanti dell’Austria e della Russia. Per motivi diversi nessuno si riscaldava per il Re di Napoli, la cui diffidenza per l’Austria e per ogni altra alleanza, insieme alla cocciutaggine di respingere consigli di moderazione e di riforme da parte delle potenze occidentali, mettevano la sua diplomazia in una condizione difficile e potrei quasi dire, umiliante. I diplo-