Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/19

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di trovar denaro. Sbolliti i primi ardori, i nobili e gli ecclesiastici cominciarono a temere per i loro privilegi; si videro minacciati negli averi, offesi nelle credenze religiose, ed esposti a violenze rivoluzionarie e reazionarie. Quei vincoli di gerarchia sociale, fortissimi nell’Isola per tradizione di secoli, si andavano via ’via rallentando. Il prestito forzoso, la tassa sulle rendite del clero, l’incameramento dei tesori delle chiese e dei beni dei gesuiti e dei liguorini, non potevano trovar sinceri ammiratori nella nobiltà e nel clero; e quando la fortuna delle armi, e le mutate condizioni d’Italia e di Europa non favorirono più la causa della Sicilia, i nobili, il clero e i benestanti più grossi si persuasero, via via, che solo la restaurazione borbonica poteva reintegrare nelle plebi cittadine e campagnole l’ordine e la tranquillità. Appena Catania fu occupata dalle truppe regie, la guardia nazionale e il Senato di Palermo, persuasi essere inutile ogni altro conato di resistenza, fecero partire per Caltanisetta una deputazione, formata da nobili e funzionari, per presentare le chiavi della città al generale Filangieri, implorando la clemenza di lui e dichiarando che Palermo si sottometteva all’autorità del Re. Pareva che fossero tornati i giorni del 1814.

La rivoluzione si era compiuta in nome dell’indipendenza e della libertà. Per sottrarsi ai Borboni, i quali avevano mancata fede all’Isola, che loro aveva date infinite prove di fedeltà negli anni burrascosi, dal 1799 al 1815, e per rompere ogni vincolo di dipendenza con Napoli, la Sicilia diè nel 1848 un esempio di virtù politica, che da principio s’impose al mondo. Insorse unanime, a giorno fisso, e conquistò l’indipendenza; creò un governo di uomini virtuosi e una diplomazia, la quale non si perdè d’animo nei momenti di maggiore sconforto. Il Parlamento non proclamò la repubblica; ma, volendo conciliare repubblicani e monarchici, modificò stranamente, dopo una discussione di tre mesi, la Costituzione del 1812, e creò un Re da parata, con una Camera di Pari, elettivi e temporanei! Dichiarò decaduto, non il solo Ferdinando II, ma la dinastia sua, rendendo inconciliabile il dissidio coi Borboni; non ottenne che il duca di Genova accettasse la corona, e si ebbe una repubblica effettiva, benché Ruggiero Settimo fosse presidente del Regno di Sicilia. Nel Parlamento avevano maggior seguito i più audaci e i mag-