Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/205

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cesco I. Il pettegolezzo dunque fu grande, e don Michele d’Urso sfucinò uno dei suoi più fortunati epigrammi:

La croce han data a Persico,
Perchè ciascun discopra
Che il Re, nel dare i titoli,
La mezza canna adopra.

A nessuno verrebbe oggi in mente di ridere e far ridere sugli abusi degli Ordini cavallereschi, divenuti piccola moneta elettorale; tanto questo abuso è degenerato in ridicola profanazione. Vittorio Emanuele diceva che una croce di cavaliere e un sigaro non si negano mai a nessuno, ma era ben lontano dall’immaginare che in pochi anni, lui morto, si sarebbe persa ogni misura. Ferdinando II era più logico e meno scettico, però con lui era più facile che una croce fosse data a qualunque ignoto, che non a uomini di vero merito; anzi qui si rivelava la sua indomata avversione per i pennaruli. Negli elenchi dei cavalieri di Francesco I abbondano i funzionari civili, nè scarseggiano vescovi e parroci; ma è ben raro il caso di incontrarvi uomini di scienza e di lettere, o artisti famosi. Durante il breve periodo costituzionale del 1848, ebbero la croce di Francesco I, Mercadante e Tito Angelini; l’ebbe nel 1863 il celebre incisore messinese Aloysio Iuvara, e se Michele Tenore, Vincenzo Flauti e pochi altri valorosi erano appena cavalieri, la loro nomina rimontava al 1829, cioè all’ultimo anno di regno di Francesco I, o a prima del 1848. Nelle ultime liste abbondano invece i nomi di ricchi proprietari di provincia, la cui devozione alla persona di Ferdinando II era a tutta prova.1 Invano si cercherebbero nelle liste dei cinque Ordini nomi di uomini veramente illustri nelle scienze o nelle lettere. Carlo Troja non fu insignito mai di alcun Ordine, ma suo fratello Ferdinando ne aveva due. Nel 1860 il Re diè la croce di Francesco I al pittore Smargiassi e al poeta Bisazza, e nel 1868 a Pietro Ramaglia e a Ferdinando Rocco.

Se i cavalieri nelle gale e nelle feste di Corte avessero continuato ad indossare anche in questo secolo le ricchissime di-

  1. Ricordo il marchese Giannangelo Spaventa e il barone De Felice di Abruzzo; Aquilecchia e Rapolla di Basilicata; Camporota, Pancaro, Passalacqaa e Losohiavo di Calabria; Balsamo, Perroue, De Martino e Lepore di Paglia, e don Costanzo Norante del Molise, morto senatore del Regno d’Italia e marchese.