Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/24

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compiacenza sotto un fine sorriso d’incredulità e di ironia. Padrone di sè, sapendo comprimere ogni sua passione, e frenando gli scatti di un’indole calda e vivace, egli non perde veramente la calma, che una sola volta, come si dirà appresso. La leggenda sul suo nome cominciò negli ultimi tempi, quando, ripresa la cospirazione, i cospiratori si convinsero che ogni loro conato si sarebbe infranto contro l’opera del Maniscalco. Egli esercitò per undici anni il suo ufficio, senza interruzione alcuna. Mutarono due Re e tre luogotenenti; mutarono tre ministri di Sicilia a Napoli, e parecchi direttori, ma Maniscalco rimase al suo posto. Fu l’unico funzionario che fece il suo dovere sino all’ultimo, chiudendosi in palazzo Reale col generale Lanza, all’ingresso di Garibaldi, e solo uscendone dopo la capitolazione. Si disse che gli eccessi di lui facessero ai Borboni più male di Garibaldi. Io credo che sarebbe più giusto affermare che, senza Maniscalco, i Borboni avrebbero perduta la Sicilia, appena dopo la morte di Ferdinando II. Quel dominio si reggeva per la forza delle armi e della polizia, non altrimenti di come si reggeva nel Lombardo— Veneto il dominio austriaco; e il nome di napoletano era aborrito in tutta l’Isola, quanto a Milano il nome di croato. Se Maniscalco non fosse stato siciliano, e polizia tutta siciliana la sua, gli strumenti per mandarlo a gambe in aria non sarebbero mancati.

Gli odii più violenti si vennero via via accumulando sul suo capo, ma egli non era uomo da aver paura, o da mostrarsene consapevole. Zelante, ma non plebeo, come Peccheneda; non visionario, come Mazza; non ignorante, come Aiossa, nello zelo del Maniscalco c’era qualche cosa, per cui egli, distinguendo e salvando le forme, colpiva l’immaginazione e lasciava il segno. La polizia la faceva lui, nè vi era grosso comune dell’Isola, dove egli non avesse qualcuno, il quale, come amico ad amico, lo informasse direttamente di quanto avveniva. Amava rendersi conto delle cose direttamente, forse perchè non aveva fiducia in nessuno dei suoi agenti, tranne che nel suo segretario Favaloro, che chiamava per celia Fava d’oro.

L’intimità fra il luogotenente e Maniscalco divenne sempre maggiore. Filangieri aveva trovato il suo uomo. Prima di prender moglie. Maniscalco ebbe relazione amorosa, si disse, con una signora, che si affermava sua parente, e corse voce che