Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/262

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{{smaller block|class=c90| fare celebrare o nella cappella o altrove, una messa nell'undici aprile, ed un'altra nel due settembre di ogni anno, che furono i giorni, ne' quali perdetti gli amatissimi miei genitori.

Scritto, datato e sottoscritto di mio pugno, come ho già detto, il presente mio testamento olografo, oggi che sono i 2 ottobre 1851, in Napoli,

firmato: Carlo Troja.


Le carte dell’illustre storico, grazie al cielo, si sono conservate e non è piccolo beneficio. Il padre Enrico Mandarini, fratello del compianto Vincenzo Mandarini, me ne scrisse di proposito. I più l’ignorano e io stesso l’ignoravo; ma appena ne fai informato, corsi a Napoli e mi presentai al degno ecclesiastico, che mi accolse come un vecchio amico, mi condusse a vedere i libri e i ricordi del Troja e me ne narrò la storia.

I Filippini o Girolamini di Napoli, che hanno sede nel centro della parte più antica della città, in quel vecchio edifizio costruito su disegno di Dionigi di Bartolomeo, fondarono, fin dal 1500, la prima biblioteca pubblica in Napoli. In tempi, nei quali di biblioteche pubbliche non v’era segno e le case religiose tenevano gelosamente chiusi i loro libri, furono soltanto i preti dell’Oratorio di Napoli, che misero i loro volumi a disposizione del pubblico. Fra i bibliotecarii e bibliofili dell’Oratorio, vanno ricordati il Valperga di Caluso, il Colangelo, napoletano e il Telesio, cosentino. La biblioteca si venne di mano in mano arricchendo, per doni o legati di opere e per continui acquisti. Francesco Porzio, Antonio Carafa di Traetto, Benedetto della Valle, preti dell’Oratorio napoletano, morti nella prima metà di questo secolo, e Agostino Gervasio, noto archeologo morto nel 1862, lasciarono ai Filippini le loro pregevoli raccolte. Oggi la biblioteca dei Girolamini conta circa 30 000 volumi, più di trecento manoscritti e contiene i libri del Troja che sono 3602 volumi. Dopo la morte dell’illustre storico, i padri dell’Oratorio, per la grande venerazione che ebbero di lui e perchè opere da lui postillate non andassero perdute, con grave danno della cultura, acquistarono tutto, mercè un contratto, col quale si obbligavano a pagare ducati 250 l’anno di vitalizio alla vedova. I libri quasi tutti di storia, rilegati con cura, son chiusi in parecchi scaffali di noce.

Nè contenti di ciò, i bravi padri vollero avere un ritratto del Troja, la sua scrivania, il calamaio e la sedia a ruote che,