Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/268

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in balia dei Tribunali di Maestà, detti straordinarii, ove, frammisti a giudici senza pietà, sedeano feroci soldati, dall’uno dei quali vidi ed udii recarsi grave oltraggio, in uno di que’ pretesi giudizi, alla canizie di Domenico Cotugno. Cosi noi fummo per lungo tempo segregati dalla Sicilia, ed appena un’eco incerta e lontana ci narrò che nel 1812 erasi ascritta una Costituzione pressoché inglese nell’Isola; udimmo poscia nel 1816 decretarsi nuove foggio di governo per essa, e finalmente nel 1820 vedemmo giungere in Napoli deputati della Sicilia i quali giurarono la Costituzione di Spagna ed affermarono che il maggior numero de’ Siciliani aveano commesso loro di giurarla, mentre Palermo si levava per rimettere in onore la Costituzione del 1812. Di tali cose or ora toccherò: qui basti far cenno alla gioia che m’ebbi, e non ha guari, leggendo il saggio storico del mio amico Palmieri, pubblicato dopo la sua morte dall’egregio scrittore de’ Vespri, dall’Amari, cioè, che vi premise un aureo discorso, frutto di lungo studio e di vero amor patrio. Già l’Italia nell’atto di stamparsi un tal libro risorgeva, e già Pio IX l’avea benedetta. Ora la Costituzione conceduta dal Re nel 29 gennaio 1848, gli avvenimenti di Sicilia e le dispute intorno al suo Parlamento m’ha fatto rileggere il Saggio del Palmieri, e la speranza m’è surta che, se una voce amica, si come la mia, di Sicilia prendesse a parlar di si fatte controversie, svanirebbero elle forse del tutto e si ricondurrebbe la pace negli aniihi. Con questa, che certo è bella e cittadina speranza, io tenterò mostrare a’ più schivi, che la Sicilia stata sempre in possesso d’una peculiare Costituzione, ha diritto d’avere un Parlamento separato da quel di Napoli per quanto riguarda le faccende interiori dell’Isola. Passerò indi a proporre le mie opinioni su’ modi più acconci a deliberare sulle faccende comuni, senza offendere la dignità dell’uno e dell’altro popolo; e non tralascerò di volgere uno sguardo alla storia del passato per trarne utili avvertimenti sull’avvenire non solo d’entrambe le Sicilie ma d’Italia.


Illusioni, illusioni! Negli altri articoli se minori sono i ricordi personali, sovrabbondano le adatte citazioni e le profonde considerazioni storielle, rivolte all’intento nobilissimo di dimostrare che la Sicilia doveva rimanere unita a Napoli come la Sardegna al Piemonte. Il pensiero di una divisione eccitava stranamente Carlo Troja, perchè in opposizione alla storia e all’ idea italiana. Vi sono tratti di vera eloquenza, di maravigliosa bellezza e d’inverosimile ingenuità. Uditelo come chiude il penultimo articolo:

Fratelli, sì; ma per Dio non ci assalite, perocché ci difenderemo: i soldati, or si degni de’ generali Pronio e Palma, mal potrebbero, se disonorati, condursi a combattere contro lo straniero in sul Po. Ruggiero Settimo, che perorava per quelli del 1818, non può desiderare che gli altri del 1848, sebbene abbiano sembiante di suoi nemici, si disonorino. Questi certamente non sono e non saranno i sensi di Ruggiero Settimo e dei «noi colleghi: ma fiero dubbio invade le menti, non siano per avventura