Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/27

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chè alcuni, complessivamente, altri singolarmente, accompagnarono la ritrattazione con pretesti non degni del loro grado. I più dicevano di esservi stati costretti dalla forza, altri dall’ignoranza; e il principe di Giardinelli, Gaetano Starrabba, dichiarava di aver sottoscritto l’esecrando decreto per le minaccie di fatto, a cui non poteva opporsi, però trascurò la firma qual procuratore del principe Alcontres di Messina; mentre l’ex deputato Ditiglia, barone di Graniano, dichiarava che firmò l’atto di decadenza per semplice errore d’intelletto, e mai per prevaricazione d’animo. E Lionardo Vigo Fuccio, che fu deputato allora e tornò ad esserlo dopo il 1860, e per varie legislature, aggiungeva: "Fui sempre avverso all’illegale e nefando atto del 13 aprile 1848, pur lo firmai, perchè inevitabile in quel tempo ed in quel giorno„.

Più schietta fu la petizione dei Napoletani, immaginata e scritta dal Fortunato e di cui pubblico qui il testo, come ho detto. Nessuno, di quanti hanno scritto delle cose del 1848, l’ha avuta veramente sott’occhio. Il testo originale, con le tante migliaia di firme autografe, fu distrutto, mi si assicura, nel 1860, perchè davvero questa dimostrazione plebiscitaria, consigliata dalla paura, sarebbe stata poco conciliabile col plebiscito nazionale di undici anni dopo. Eccola:

"Sacra Real Maestà,

" La città di .... in provincia di ... . per proprio convincimento è persuasa ed ha riconosciuto dalla esperienza dei tempi trascorsi, che il regime costituzionale non conduce in questo Regno al pubblico bene ed al vero ed onesto progresso sociale, ai vantaggi del commercio e dell’agricoltura, ad altro non avendo servito se non che ad eccitare le più abiette passioni, ed a garantire le mire anarchiche di uno sfrenato ed immorale partito distruttore di ogni pubblico bene e prosperità, nemico della religione e del trono e di ogni civil reggimento; partito che si avvale di tale regime, solo per avanzarsi a minare tutto l’edificio sociale di ogni virtù, manomettendo ogni diritto ed ogni ragione. L’esperienza di sì tristi frutti finora raccolti e la preveggenza delle future inevitabili sventure, che può arrecar a questo Regno, ha resa questa forma di governo antipatica e pesante alla sua maggioranza dei buoni e fedeli sudditi della M. V. Essi vogliono vivere sotto le paterne sante leggi della M. V., Augusto discendente di quella magnanima stirpe di Re, che ha tolto queste contrade alla condizione di provincie soggette a lontano dominio, che le ha ripristinate alla dignità di Regno indipendente, che a questo immenso dono ne ha aggiunti tanti e tanti colle sapienti leggi, di cui ha dotata la Monarchia.