Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/278

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tutte le provincie continentali dell’antico Regno, ma nelle principali città d’Italia, immobilizzando o distraendo il suo capitale. Governato da un numeroso Consiglio, o meglio da una folla di provenienza elettiva, subì per un pezzo le vicende parlamentari, donde le crisi frequenti dei suoi direttori e le lotte palesi ed occulte fra il direttore di nomina regia e il Consiglio, le inframmettenze del governo, ora provvide e ora nefaste, e la crescente prevalenza di elementi estranei alle provincie napoletane. E da questo Consiglio venivano fuori i delegati delle sedi, i consiglieri di amministrazione e i censori o sindaci: uffici variamente retribuiti, ma retribuiti tutti. Si può imaginare quale spettacolo di avidità e di volgarità presentasse questo Consiglio nella rinnovazione delle cariche, e quali influenze esercitassero questi consiglieri sugli sconti e sulle operazioni nelle rispettive sedi, alla loro vigilanza commesse! Una legge escluse dal Consiglio del Banco i membri del Parlamento: si credette così di epurarlo, ma il livello morale del consesso discese ancora più basso.1


Il Reggente del Banco delle Due Sicilie era contemporaneamente direttore della Zecca, o amministratore delle monete, ufficio che dipendeva anche dal ministero delle finanze e aveva sede in Sant’Agostino. Oltre alle officine di monetazione, c’era la raffineria chimica dell’oro; c’erano gabinetti d’incisione e di garentia, mangani ed argani per i fili d’argento e d’argento dorato. Altri gabinetti di garentia erano nei capoluoghi di provincia. Funzionava da segretario generale di quell’amministrazione Marcello Firrao e n’era razionale il Caropreso, consigliere alla Corte dei conti. La Zecca di Napoli, che aveva pure l’ufficio di fissare il valore delle monete estere, continuò a lavorare mediocremente fino al 1870, ma, colla soppressione delle Zecche di Firenze e

  1. Col nuovo ordinamento del ministro Sonnino, a parecchi di questi mali si portò rimedio, abolendo censori e consiglieri di amministrazione presso le sedi, riducendo il numero dei consiglieri, rendendo questi ufficii interamente gratuiti; e con l’ultima riforma si fece ancora meglio, iniziando la liquidazione del credito fondiario e riducendo l’interesse delle cartelle, mettendo a profitto una parte delle riserve, diminuendo lo stipendio degl’impiegati e dando al Banco un direttore, quale forse non ebbe mai: un uomo come Niccola Miraglia, il quale salverà l’Istituto, se gliene lasceranno il tempo