Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/321

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nobili famiglie dell’Isola vi erano rappresentate, e ricorderò i due Lanza di Trabia, padre Ottavio e padre Salvatore, tra i primi; il padre Castelli di Torremuzza, il padre Benedetto Gravina e il padre Lancia di Brolo, oggi arcivescovo di Monreale, fra i secondi. La rivoluzione non poteva che trovar favore in esso: favore, non aiuti compromettenti, perchè il prete siciliano è un dialettico, discute e riflette molto prima di risolversi, rifugge dalle risoluzioni rischiose e parla il meno che può. Giudice della Monarchia era monsignor don Diego Pianeta, siciliano, arcivescovo di Palermo monsignor Naselli, di famiglia siciliana, benchè nato a Napoli, e siciliani quasi tutti gli altri arcivescovi e vescovi dell’Isola, tranne il vescovo di Catania, Regano, nativo di Andria; monsignor Salomone, vescovo di Mazzara, nato in Avellino, e monsignor Attanasio, vescovo di Lipari, nato a Lucera. I primi due erano molto amati per la pietà e la dottrina. Un solo cardinale, l’arcivescovo di Messina, Villadicani. Un vescovo aveva autorità vera, perchè le diocesi essendo sole quattordici, in media due per provincia, erano vaste di territorio e i seminari, pochi anch’essi e nell’insieme discreti, anzi, quelli di Palermo e Monreale avevano una storia illustre.

Tutto ciò contribuiva a mantenere un certo equilibrio sociale, per cui ciascuno era al suo posto, e in luogo delle corrotte e piccole tirannie che pullularono nei tempi della libertà, era la grande tirannia coi suoi sfarzi e le sue apparenze non volgari, le quali nascondevano magagne d’altro genere. Chi visitava la Sicilia, limitandosi a vedere Palermo, Messina e Catania, Taormina, Siracusa e l’Etna, ne riportava un’impressione indimenticabile, cosi come la riportava da Napoli, percorrendola nelle sue strade principali ed osservandola dal mare, o visitandone i dintorni. I signori non erano odiati, anzi il rispetto per essi aveva qualche cosa di molto caratteristico, e il clero era davvero amato dalla povera gente; e nobili, borghesi, clero e povera gente tutti affratellati, come ho detto, contro il comune nemico, il governo di Napoli, ritenuto autore persino del colera, che nel 1854 e 1855 fece grandi vittime a Palermo e a Messina, sebbene inferiori di molto a quelle del 1837, quando morirono nella sola Palermo 40 000 persone. Nel 1854 i morti furono 6000, e se non si rinnovarono le scene barbariche del 1837, fu perchè le autorità fecero il loro dovere. Maniscalco si recava egli