Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/332

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e alla permanenza per una o due ore nell’ufficio, allogato nello stesso palazzo dei ministeri. Gli altri redattori erano impiegati sine cura. Il foglio seguiva il suo andare, e poiché non richiedeva alcuna fatica speciale, tutti vi attendevano il meno che potessero, e così avvenne che nella parte ufficiale, a grossi caratteri, scivolò più tardi l’annunzio della vittoria di Solferino!


A Palermo, tranne per le opere teatrali, non esisteva un vero ufficio di revisione. Era compreso nel primo carico del ripartimento di polizia, sotto il nome di stampa e revisione. Sulla decenza degli spettacoli e sulla polizia interna delle sale vigilava la soprintendenza, che decideva anche su tutte le controversie fra impresarii e compagnie, fra impresarii, governo e pubblico. Ed era sopraintendente, come si è detto, lo Starrabba di Rudini, che esercitava quell’ufficio con apparente passione, ma chi faceva tutto era il segretario Zappulla. Per le produzioni teatrali in prosa e in musica e per i balli, aveva ufficio di revisore il Bozzo, professore di eloquenza e letteratura italiana all’Università: mite uomo, per cui non si verificavano a Palermo le inesauribili scempiaggini di Napoli, anzi i giornalisti facevano alla revisione curiosi scherzi. Il dottor Lodi, redattore della Lira, vi pubblicava articoli letterarii sottoscritti G. M. ed erano brani cavati dalle opere di Giuseppe Mazzini; o sottoscritti G. L. F., ovvero B. C., e che appartenevano a Giuseppe La Farina e a Benedetto Castiglia, e di questo il Bozzo non si accorse mai. Per i libri la revisione era dalla polizia affidata ai redattori del Giornale di Sicilia, o a persone ritenute competenti, ma un ufficio speciale come a Napoli non esisteva, né esisteva neppure presso la posta, né presso la dogana per i libri provenienti dall’estero; onde libri, opuscoli e giornali politici entravano nell’Isola assai più che a Napoli, e provenivano da Genova e da Malta ordinariamente, e in alcuni casi, da Livorno, da Marsiglia e da Alessandria di Egitto.

Pubblicandosi qualche opera di non comune importanza, si affilavano le armi della critica. Il canonico Pietro Sanfilippo, della Metropolitana di Palermo, pubblicò nel 1855 una storia della letteratura italiana, nella quale espresse l’opinione che la popolazione di Sicilia contenendo molti elementi arabi, la sua poesia del Medio Evo potè acquistare più direttamente quella maniera di