Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/393

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tipatica al Re. La vecchia madre dello Schiavoni aveva preparata una domanda di grazia da consegnare al Sovrano, ma non le fu possibile. Si arrivò a Lecce alle cinque, ed era notte fitta. Gli augusti viaggiatori erano aspettati dal giorno avanti, e nessuno credeva che sarebbero giunti in quell’ora, così mattutina e fredda. Le autorità ne ebbero avviso solo alle quattro, quando giunse improvvisamente la staffetta, che precedeva di cinque miglia la carrozza reale. La notizia si diffuse subito per la città, ma mancò il tempo di eseguire quanto era stato stabilito. Si era fissato che alcune signore sarebbero andate incontro alla Regina fuor di porta Napoli, ad offrirle dei fiori, mentre il sindaco avrebbe presentato al Re, secondo l’antico costume, le chiavi della città; ma non se ne potè far nulla. Poca gente si trovò ragunata a porta di Napoli, dove si era innalzato un arco di trionfo. Le autorità preferirono attendere i Sovrani sullo scalone del palazzo dell’Intendenza, dove il Re con la famiglia e il seguito doveva alloggiare. All’arredamento del palazzo per la circostanza avevano concorso le famiglie leccesi più cospicue. Pensini prestò la biancheria da tavola e da letto; Panzera e Romano, la mobilia e i lampadari, e Romano, ch’era sindaco, anche l’argenteria da tavola e da sala.

La carrozza reale, scoperta ai lati e tirata da quattro cavalli storni romani, giunse a trotto serrato, a porta di Napoli. La precedevano quattro dragoni, che illuminavano la via con torcie a vento; altri sei dragoni la seguivano. Tutte le campane delle chiese suonavano a festa, nè mancarono le solite acclamazioni. Al Re, nel salutare gli astanti, cadde di mano il berretto di color amaranto; un popolano lo raccolse, ma Ferdinando II non lo rivolle e, aperta una valigia, che aveva dinanzi, ne prese un altro. Le guardie d’onore, Giuseppe Libertini, Francesco Quarta, Francesco Russo, Gesualdo Sanguinetti, Pasquale Ceino, Attilio Jurlaro, Giuseppe Tresca-Giovinazzi, Pasquale Sauli, il cavalier Venturi formavano il drappello di servizio, ma Ludovico Tarsia e Giuseppe Maggi, di Martina Franca, bei giovani, aitanti della persona, si distinsero, per forza di resistenza, nel seguire al trotto serrato le carrozze del Re e dei principi, senza dar segno di stanchezza. Lentamente le vetture reali percorsero il viale di Napoli, illuminato con legna di pino su canestri di ferro, e le vie del Vescovado e delle Quattro Farmacie, addobbate con parati di carta. La meschinità degli ad-