Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/449

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Rosati e Capone, il quale ultimo gli era entrato in grazia fin dal primo momento; ma la maggior confidenza l’infermo l’aveva in don Franco Rosati. Nei suoi momenti di buon umore, lo si era udito ripetere più volte, non esservi in Corte che un solo galantuomo, il Rosati. A Caserta volle che dormisse nella camera accanto alla sua. Del de Renzis soleva dire; “Don Felice ha la mano troppo pesante„; né da lui voleva lasciarsi toccare.


Anche nei giorni di maggiori sofferenze, che furono quelli dal 26 aprile alla morte, con brevi interruzioni, il Re non lasciava di prender conto degli affari dello Stato, ma soprattutto e molto ansiosamente, delle cose della guerra. La conferenza sfumata, il Piemonte si era apertamente messo a capo della rivoluzione italiana per resistere all’Austria; l’imperatore Napoleone faceva partir per l’Italia i tre primi corpi di armata e si disponeva a scendervi lui stesso, per prendere il comando di tutto l’esercito. Ferdinando II aveva fede nelle forze dell’Austria, che credeva sarebbe stata aiutata dalla Russia e dalla Prussia, e confidava ancor più. nell’intangibilità degli Stati della Chiesa. Si cercava di tenergli occulte, o di comunicargli, con arte, le notizie le quali potevano fargli penosa impressione. Questo incarico era affidato alla Regina che, veramente, durante tutta la malattia, non poteva dar prova di maggiore abnegazione e di maggior affetto verso il marito. Molte notti le vegliava accanto al letto di lui, dormicchiando sopra una poltrona, o buttata sopra un canapè, o pregando con lui, in ginocchio, né egli voleva che si allontanasse, chiaramente mostrando di avere soltanto in lei una fiducia senza limite.

Le notizie politiche più gravi venivano quindi comunicate prima alla Regina. Nella notte dal 27 al 28 aprile, giunse il dispaccio, che annunciava la partenza da Firenze del granduca e della sua famiglia, in seguito a un tentativo di sedizione da parte delle truppe. Incredibile lo sgomento che la notizia produsse in Corte. La famiglia reale di Napoli era molto affezionata alla Corte di Toscana, per vincoli stretti di parentela; e il granduca Leopoldo II, come ho già detto, veniva chiamato dai suoi nipoti, napolitanamente, Zì Popò di Firenze, per distinguerlo da Zì Popò di Napoli, ch’era il conte di Siracusa. La mattina del 28 aprile, il principe ereditario entra nella camera del padre e, tutto spaventato, gli dice: “Papà, hanno cacciato zi Popò.„ “Quale zi Popò?