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Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/55

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levarlo. Alle 10 e mezzo s’imbarcò sul Tancredi col duca di Calabria, che diceva d’aver sonno. Il conte di Trapani accompagnato dall’intendente, partì per Catania in vettura, e Filangieri partì anche lui sul Tancredi.


Catania non si dimostrò inferiore a Messina. Non era la prima volta che il Re vi andava; vi era stato anzi varie volte, ma in nessuna ebbe, come allora, così entusiastiche accoglienze. La città lo aveva invitato durante la sua dimora in Reggio, col seguente indirizzo:

Sire!

Nella felice occasione che la Maestà Vostra trovasi in luogo così prossimo alla Sicilia, si avviva nel petto de’ Catanesi il desiderio di vedere onorata la loro Città della Augusta Vostra Persona. Il Decurionato per ciò, prostrato a piè del Real Trono, osa intercedere, che a colmo di benefici si degni la Maestà Vostra render pago questo fervido voto della popolazione, che rappresenta, ond’essa poter più da vicino rassegnarvi l’omaggio della sua alta devozione, fedeltà e gratitudine.

Questo indirizzo portava la firma di tutti i componenti il Corpo della città. Era patrizio titolare il cavalier Gioeni, ma, per l’assenza di lui, funzionava da patrizio Tommaso Paternò Castello di Bicocca; ed erano senatori, il dottor Francesco Fulci, Francesco Moncada, Francesco Zappalà, Vincenzo Marletta e Carlo Zappalà Bozomo. Al Fulci nacque in quei giorni un bambino, che chiamò Ferdinando.

Il Re arrivò a Catania alle ore 7 antimeridiane del 24 ottobre. Era domenica. Scese prima il principe di Satriano e si pose alla testa delle autorità locali, le quali, con l’intendente Panebianco, attendevano sotto un elegante sbarcatoio. La folla gremiva il molo, e il porto era coperto di barche che circondavano il Tancredi. La gente acclamava a perdita di fiato, e il Re per ringraziare si toglieva il berretto. Pareva commosso da quelle accoglienze che forse non si aspettava. Andò al duomo tra una calca di popolo plaudente. Le vie erano tappezzate di arazzi e sparse di fiori, e lo finestre gremite di gente. Al duomo venne cantato l’immancabile Te Deum, e la benedizione fu data dall’arcivescovo Regano. Quando il Re mosse per andare ai Benedettini, dove aveva il costume di prendere alloggio, le campane della città suonavano a festa e il Tancredi faceva salve dal porto. I benedettini gli