Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) II.djvu/122

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graziosi, sino ad appropriarsene il linguaggio e le maniere. Il viaggio importava spese non lievi, perchè durava sette giorni da Lecce, dieci da Reggio, cinque da Aquila, punti estremi delle provincie continentali. Molti calabresi di Catanzaro e di Cosenza s’imbarcavano al Pizzo, dove approdava il vapore una volta la settimana, e poicbè non vi era porto, nè banchina, ma solo uno scoglio, se il mare era grosso, il battello non approdava e si rimaneva al Pizzo otto giorni. Per la linea di Puglia, che era relativamente la più sicura, il traffico veniva fatto da quelle enormi e solide carrozze di Avellino dipinte in giallo.

Foggia, Ariano e Avellino erano tappe di obbligo per i pugliesi. Passato l’Appennino, si cominciava ad aver conoscenza del dialetto napoletano, perchè alla terminazione in consonanti dure si sostituiva quella delle consonanti dolci, e da Ariano la povera gente chiama tata o papà il genitore, e diminutivo di Luisa è Luisella. Da Ariano ad Avellino s’incontrava l’erto valico dell’Appennino, detto la Serra, dove si sostituivano i bovi ai cavalli. La seconda di queste città era l’anticamera di Napoli, ed aveva tre o quattro locande, la più rinomata delle quali fu negli ultimi tempi quella detta delle Puglie, posta sulla via maestra, quasi nel mezzo della città, dove si mangiava e dormiva bene, e il cui esercente, certo Tarantino, aveva smessa un’altra sua osteria più antica, detta del Principe. Ad Ariano le locande erano bettole, ma rese piacevoli da una cena squisita di pollastri e prosciutto: cena servita da ragazze paffute, le quali non si commuovevano alle occhiate dolci degli studenti, usciti di fresco dai collegi o dai seminarli. Sono grate reminiscenze della mia giovinezza, del mio primo viaggio a Napoli, dei miei amici quasi tutti spariti dal mondo, e quelle impressioni, che pareva fossero eccezionali per ciascuno, erano comuni a tutti. Viaggio quasi sempre allegro, essendo comune il caso che più studenti o famiglie lo facessero insieme, servendosi di più carrozze.

Ma ciò che rendeva difficile e pericoloso il viaggiare, era l’insicurezza delle strade. Il vallo di Bovino per i pugliesi, il piano di Cinquemiglia per gli abruzzesi, la Sila, il Cilento e lo Scorzo, per quelli che venivano dalle Calabrie e dalla Basilicata, erano tradizionali e paurosi nidi di malandrini. Sovente gli stessi proprietarii di taverne, lungo le strade, fiutata una buona pre-