Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) II.djvu/168

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I consigli di moderazione trovavano scarso ascolto tanto nel Comitato borghese, quanto fra i giovani nobili, che avevano avvicinato il Benza: gli uni e gli altri stimavano indecoroso qualunque indugio. Nei primi giorni del nuovo anno era stato distribuito a migliaia di copie in Palermo e per tutta l’Isola il celebre manifesto, che si chiudeva con le parole: Viva l’Italia! Viva Vittorio Emanuele!


Si era impazienti, ma mancavano danari ed armi. Coi pochissimi fucili sottratti nei disarmi, non si poteva fare la rivoluzione. Da Malta si promettevano armi, ma non arrivavano; e le insistenze, che da Palermo e da Messina sul finire del 1859 si mandavano a Garibaldi perchè scendesse in Sicilia, provocarono dal generale risposte rassicuranti, ma solo quando i siciliani fossero pronti alla riscossa. Il Comitato decise di entrare in più intima relazione con quei pochi giovani del patriziato, i quali, pur appartenendo a famiglie legittimiste, ed alcuni avendo anche cariche di Corte, mostravansi non abborrenti dai civili progressi. Coi loro nomi e coi loro mezzi si poteva dare alla cospirazione un contenuto di serietà e di forza. In un paese come la Sicilia, dove l’ordinamento sociale è a base di gerarchia, occorreva anche nella cospirazione una gerarchia. E fu dopo la partenza dell’agente cavurriano, che per mezzo dei Pisani e del Brancaccio, furono presi accordi definitivi coi nobili, e col padre Ottavio Lanza particolarmente, ch’era il più anziano, o meglio, il meno giovane di loro. Gli altri varcavano di poco i venti anni. Erano stati quasi tutti discepoli di Pisani, il quale aveva loro ispirato sentimenti liberali e nazionali. Questi giovani nobili non costituirono mai un vero Comitato: erano amici e si vedevano ogni giorno, tenendosi al corrente di quanto avveniva. I nomi loro sono quasi tutti compresi nell’elenco di quelli che accompagnarono il Benza a bordo, e qualificati per giocatori o novatori.1

Ma l’uomo di maggiore autorità fra loro era veramente il padre Ottavio Lanza, prete dell’Oratorio, uno dei molti figliuoli del vecchio principe di Trabia. Aveva trentasette anni. In lui

  1. È da aggiungere Corrado Niscemi, che poi ebbe tanta parte nelle cose pubbliche. Emmanuele Notarbartolo di San Giovanni vi è indicato col titolo di cavalier Sciava. In quei giorni, non reputandosi sicuro a Palermo, partì per Firenze.