Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) II.djvu/182

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Ma nella città fu peggio. Benchè non avesse udito lo sparo dei mortaletti, Salvatore La Placa, che comandava gli uomini chiusi alla Magione, visto che si faceva tardi e impaziente di altri indugi, usci coi suoi, e transitando per viuzze poco frequentate di quello strano quartiere della Kalza, abitato da pescatori, lavoratori di funi e ricamatrici, e che secondo Giuseppe Pitrè contiene i più legittimi discendenti della razza araba, tentò di congiungersi ai compagni che erano dentro il convento. Ma fatti pochi passi dalla parte detta di Terrasanta, s’incontrò in una grossa pattuglia comandata dal Chinnici e venne con essa alle mani. Vi furono morti e feriti da ambo le parti. Al rumore delle fucilate, Riso e i suoi, saliti alle finestre, si diedero a tirare contro i soldati, a gettare bombe e a suonare la campana a stormo. La Placa, ferito al petto e lasciato a terra per morto, fu pietosamente nascosto da alcuni popolani di buon cuore, i quali, non avendo mezzi per curare la grave ferita di lui, spaccarono in due una gallina viva e, così calda e sanguinante, l’applicarono sulla piaga.

La Placa guarì, e il 27 maggio, all’assalto di porta Carini, fu nuovamente ferito ad una gamba, il che non gli tolse però di entrare in Palermo. Il Riso, che non udiva rumori di fucilate lontane, esortato dai tremanti e stupiti frati a cessare dal fuoco, tentò uscire dal convento, non è ben chiaro, se per trovar rifugio in casa del padre, ch’era a poca distanza di là, o per accertarsi di quel che avveniva in città, e del motivo pel quale la terza colonna degl’insorti non si moveva. Ma appena fuori la porta del convento, stramazzò colpito d’arme da fuoco in più parti del corpo. Arrestato, fu portato sopra un carretto all’ospedale civico di San Francesco Saverio. De’ suoi compagni, alcuni vennero uccisi nel combattimento; altri sopraffatti dal numero, vennero arrestati, o si dispersero, e due trovarono scampo nelle sepolture del convento, dalle quali non furon tratti fuori, com’è noto, prima di cinque giorni.

Sfondata da un obice la porta del convento, i soldati fecero man bassa su tutto; saccheggiarono la chiesa; il padre Giannangelo da Montemaggiore cadde ucciso e i frati tutti, ritenuti complici, furono percossi malamente e tratti in arresto. Questi frati della Gancia, che il romanzo rivoluzionario e le asserzioni borboniche fecero apparire antesignani ed eroi del 4 aprile e, secondo altri, traditori e spie, non furono nè l’una cosa, ne l’altra.