Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) II.djvu/184

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di un esempio, mentre il Cassisi, non più ministro di Sicilia, consigliava la clemenza; afferma egli pure che il Re mandò la sera stessa del 4 l’ordine di sospendersi tutte le eventuali sentenze di morte e che quest’ordine telegrafico giunse effettivamente a Palermo, ma non fu eseguito. E non potendo conciliare il predetto ordine con l’eccidio, né volendo concludere che il Re, affermando di aver sospesa ogni sentenza di morte, avesse detta una cosa falsa, conchiude colle parole: “un mistero ricopre questo tremendo fatto: il tempo solo potrà squarciarne il velo!„. Il mistero non può essere che questo: Francesco II, mitissimo d’indole, forse manifestò la sua inclinazione di fare la grazia, anche perchè quel tentativo di sommossa non ebbe conseguenze serie, ma dissuasone dai suoi consiglieri, convinti della necessità di dare un esempio, non ebbe la forza di fare da se. Era tradizione della diplomazia napoletana quella di scagionare il Re di cose in nessun modo giustificabili. Si era fatto altrettanto per Agesilao Milano e il barone Bentivegna.

A Palermo regnava il terrore. I più compromessi, come i due Pisani, andarono a nascondersi in casa del maestro D’Asdia, loro stretto congiunto, e vi stettero sino al 3 maggio. Sapendo che la polizia li ricercava insistentemente, come autori principali della rivolta, potettero con mille malizie trovare rifugio sopra un legno da guerra sardo, che li condusse a Cagliari. Altri fuggirono in campagna, sopportando una vita di pericoli, di emozioni e di patimenti, o trovarono sicurezza oltre mare. Il Marinuzzi non rientrò a Palermo che il 27 maggio, con Garibaldi.


Maniscalco, dopo l’arresto di Riso, ebbe in mano le fila della cospirazione. Non era uomo da mezzi termini. Allo zelo per la causa che serviva, si era aggiunto l’interesse di scoprire gli autori del suo attentato. Per lui non vi era dubbio che autori ne fossero quelli stessi, i quali avevano organizzata la rivoluzione del 4 aprile, e principalmente quei giovani nobili, denunziati poi dal Riso. Bisognava mostrare che il governo non aveva riguardi per nessuno. Seppe che in casa del principe Antonio Pignatelli erano raccolti, la sera del 3 aprile, il barone Giovanni Riso, il principe Corrado Niscemi, il principe di Giardinelli Giovanni Notarbartolo, noto anche lui col titolo di cavalier Sciara. Vi erano andati per aspettare i risultati della