Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) II.djvu/204

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stanza conto della gravità della situazione, dopo il suo ritorno a Palermo. E il principe forse punto dal rimorso d’aver assicurato il Re, alla vigilia del 4 aprile, che la Sicilia era tranquilla, inclinava, anche per l’indole sua flemmatica, ad attenuare gli avvenimenti. Egli non dubitava infatti di scrivere a Napoli che le bande erano formate di ladri, e non d’insorti politici, e che non dovevano dar pensiero, perchè, incalzate ogni giorno dalle colonne mobili, si scioglievano via via, e più tardi scrisse che a Carini erano state addirittura sgominate. Ma il vero è, che benchè egli fosse il comandante generale delle armi, e in quei giorni avesse assunto il titolo di “generale in capo„ non riusciva neppure a domare le rivalità fra i generali da lui dipendenti. A Messina erano note le gelosie fra il Russo e l’Afan de Rivera, le quali degenerarono in aperta rottura, sino al punto che il Russo fu dovuto richiamare. A Palermo, il Salzano seguitava ad avere i pieni poteri, e ciò non andava a garbo dei generali Cataldo e Primerano, i quali a capo delle colonne mobili, nei circondarli di Termini e di Cefalù, non riuscivano che a stancare inutilmente le truppe. In altre provincie, i comandanti non andavano d’accordo con gl’intendenti. Il governo di Sicilia doveva poi guardarsi anche dagli impiegati proprii, i quali erano siciliani quasi tutti. Il giorno 14 aprile, il generale Clary scriveva da Catania al luogotenente queste caratteristiche parole: “Gl’impiegati Siciliani hanno insito indistintamente il sentimento siciliano, cioè voler essere indipendenti da Napoli, e questi sono i buoni. Gli altri servono pel soldo, ma al momento di un movimento spariscono, per gettarsi al partito che potrebbe restar vincitore„. E quando dopo l’attacco sanguinoso di Carini, parve al luogotenente che l’ordine fosse ristabilito, abolì di sua testa lo stato d’assedio a Palermo e nel distretto, e in un proclama alla popolazione, dopo di aver ricordato l’indulto concesso dal Re per tutti quei traviati che avessero deposte volontariamente le armi, e dopo la constatata ripristinazione dell’ordine, scriveva: “Rimane tuttavia un dovere a compiersi, quello di far cessare le scorrerie dei più tristi delle disciolte bande, i quali non credendo di tornare quieti alle case loro, deposte le speranze del bottino, han posto mano alla vita e alle robe altrui e ad abominevoli fatti„. Ma in quel giorno stesso (3 maggio) non mancò di richiamare