Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) II.djvu/260

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mere la rivoluzione; o altrimenti non ha tempo a perdere, per accettare le condizioni, sotto le quali l’Imperatore vuole far credere di prendere la mediazione presso i suoi alleati„.

Il Consiglio di Stato, con undici voti favorevoli e tre contrari, decise di proporre al Re di tradurre in atto le tre proposte, cioè: Costituzione del 1848, accordo col Piemonte e istituzioni speciali per la Sicilia. Sempre tenaci nelle loro opinioni, Troja, Scorza e Carrascosa furono contrarii a tutto. Il principe di Cassaro motivò il suo voto, dichiarando che, avverso per principii alle concessioni, soprattutto nelle circostanze presenti, il primo effetto di esse sarebbe di togliere forza al Governo, nel momento in cui ne aveva maggior bisogno; ma poichè non vi era più scelta nei mezzi di resistenza, avendo i ministri degli esteri, della guerra e della polizia dichiarato di averli tutti esauriti, ed essendo la posizione disperata in faccia alla sentenza dell’Europa e della necessità, ogni considerazione o sentimento doveva cedere al dovere di salvare il trono e la dinastia, e tale dovere imponeva quest’ultima prova, per quanto fosse pericolosa e difficile. Carrascosa non esitò ad affermare, che la Costituzione sarebbe la tomba della Monarchia.

I ministri, prima di separarsi, discussero se, concedendo il Re la Costituzione, essi dovessero cedere il posto a un nuovo gabinetto. Alcuni riconobbero doveroso il rimanere, ma la maggioranza fu favorevole alle dimissioni. Il Re non fu presente al Consiglio, perchè dal giorno 18 era a letto con febbre, che si disse biliosa. Da qualche giorno egli era divenuto triste, come se un’interna voce gli dicesse che, dando la Costituzione, la dinastia era spacciata. Il generale Letizia che, tornando da Palermo la sera del 7, andò subito a trovarlo, disse che il Re era molto perplesso ed agitato su quel che dovesse fare; ma che avendo ricevuto una lettera di Pio IX scritta di suo pugno, nella quale lo consigliava di resistere e di nulla concedere, ogni esitazione era stata in lui vinta. Il giorno 17, che era domenica, il Re non volle ricevere il conte d’Aquila, il quale del rifiuto era furiosissimo, e ricorse allo stratagemma innanzi raccontato. Quando Francesco II fu informato delle deliberazioni prese dai ministri, si lasciò dire che le approvava; ma, la sera stessa, di sua iniziativa fece ripartire De Martino per Roma, desiderando di avere un altro consiglio dal Papa, pri-