Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) II.djvu/269

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lirono la carrozza, in cui egli era, presso il palazzo De Rosa a Toledo, pugnalarono un cavallo, ferirono il cocchiere e, senza l’intervento coraggioso di un ufficiale dello stato maggiore, sarebbe caduto sotto i colpi di que’ farabutti. Dal giorno che Francesco II partì, egli rientrò nella vita privata, non volle onorificenze e neppure la nomina a senatore del Regno. Morì a ottantotto anni, nell’aprile del 1873, assistito amorevolmente dai suoi figliuoli e rimpianto dai molti amici. Gli scrittori borbonici accusarono anche lui di tradimento, ma mai accusa fu più stolida. Lo Spinelli si sacrificò ad una situazione, tanto nuova storicamente, quanto difficile, e la cui non remota fine egli stesso, accettando il ministero, aveva preveduta. Era un uomo di coscienza, non uno scettico vanitoso e inconsapevole, come Liborio Romano. Giovanni Manna era stato ministro nel 1848; ma, pur volendo l’autonomia del Regno, non moriva di tenerezza per i Borboni, e il principe di Torella, fratello maggiore di Cammillo Caracciolo, era un brav’uomo, nervosissimo, liberale a suo modo, molto religioso e municipale schietto. Lo dicevano assai versato nel diritto canonico, e fu forse per questo che lo nominarono ministro per il culto. Giovanni Manna non aveva occupato alcun ufficio nel decennio; era vissuto tra i suoi studii, e con pochi e fidi amici, dovendo alla sua parentela col generale Sabatelli, di cui era genero, se non fu processato, soprattutto perchè aveva conservato vivo il suo culto per Carlo Troja e la sua amicizia con i colleghi del ministero del 3 aprile, esuli in Piemonte. Spinelli e Manna erano le maggiori autorità del ministero; ma, fra tutti, si riteneva più destro il De Martino, uomo di talento di certo, ma la cui azione diplomatica, come ministro costituzionale, fu una serie d’insuccessi, nonostante la fede, da lui fin troppo e apertamente dimostrata, che sarebbe riuscito a impedire lo sbarco di Garibaldi sul continente, interessando tutta l’Europa alla conservazione del Regno. Contava molte amicizie nella diplomazia, e riusciva simpatico per la persuadente loquela e la vivace fantasia meridionale, ma in fondo era scettico e repugnava, un po’ meno dei suoi colleghi, da qualunque misura concludente contro quelli che cospiravano e si agitavano per mandare in fiamme e Regno e dinastia.


Nel primo giorno di luglio, il ministero, in una sua relazione al Re, lo aveva invitato a richiamare in vigore lo Statuto