Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) II.djvu/349

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I danari servirono ad ottenere lo sbandamento di alcuni ufficiali e di parecchi soldati della colonna di Flores, che dalle Puglie tornavano a Napoli, anzi tutta la somma fu audacemente offerta allo stesso generale da Achille de Martinis, padre di Cesare e sindaco di Cerignola. Il Flores rifiutò, dichiarando che non avrebbe mai rivolte le armi contro i patrioti, ma non avrebbe neppur permesso lo sbandamento della colonna, che riportò quasi intatta sino ad Ariano, benchè uno squadrone del secondo reggimento dei dragoni avesse gran voglia di buttare le armi. La maggior parte della somma fu restituita dal De Martinis al D’Affitto.

L’Abruzzo pareva tranquillo. L’insurrezione vi scoppiò più tardi, ma vi covava da qualche tempo. Nella provincia di Chieti vi eran tre Comitati, uno per circondario. Di quello di Chieti era anima Raffaele de Novellis; del Comitato di Lanciano, Tommaso Stella; e di quello di Vasto, Silvio Ciccarone, che comandava la guardia nazionale. Questi egregi cittadini, e specialmente il Ciccarone e il De Novellis, erano devoti a Silvio Spaventa. A Teramo l’azione divenne più apparente, dopo che uscirono dalla fortezza di Pescara i patrioti che vi erano stati chiusi. La fortezza restò vuota per lo sbandamento della guarnigione, avvenuto dopo il conflitto fra il 12° cacciatori e alcune compagnie di zappatori minatori. Aquila pareva tranquilla, ma quella tranquillità non affidava.

Dopo l’occupazione di Reggio e i primi successi militari, la rivoluzione si affermò nelle tre Calabrie e nelle provincie di Bari, Potenza, Avellino e Benevento. I pochi divennero molti, e poi tutti. Fosse improvviso sentimento d’italianità, o desiderio del nuovo, paura di navigar contro la corrente, certo è che si raccoglievano in larga copia armi e danari; si scrivevano proclami incendiarli; si armavano giovani; si mobilizzavano guardie nazionali; si sottoscrivevano impegni e obblighi di fornire contingenti armati, e questi si armavano con fucili d’ogni specie, con pistoloni, colubrine, vecchi fuoconi, picche, forche, spiedi e mazze con coltelli attaccati in cima: era tutto l’arsenale del 1820 e del 1848, che rivedeva il sole.

Ad Avellino, che ubbidiva esclusivamente al Comitato dell’Ordine, dirigevano il movimento, oltre al De Concily, il professor Francesco Pepere, Raffaele Genovese, Florestano Galasso, Angelo Santangelo, Cesare Oliva, Vincenzo Salzano, Vincenzo