Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) II.djvu/367

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Il Pianell dichiarava, che, allo stato delle cose, non gli conveniva rimanere più oltre nel ministero. Scrisse direttamente al Re la sera del 2 settembre, inviando le sue dimissioni anche da generale, spiegando i motivi che lo inducevano a questo passo, e chiedendo il permesso di allontanarsi dal Regno. Contemporaneamente il ministero, sentendosi completamente esautorato, senza ministro della guerra e senza comandante della guardia nazionale, e quasi certo di essere riuscito a scongiurare la guerra civile nelle mura di Napoli, ripresentò, la mattina del 3 settembre, le sue dimissioni. Francesco II mandò il desiderato permesso a Pianell, che lasciò Napoli la sera del 3, e in quello stesso giorno nominò comandante della guardia nazionale il vecchio generale Roberto de Sauget; ma non accettò le dimissioni del ministero, forse preoccupato dallo spavento che al primo annuncio di quelle dimissioni s’era destato in Napoli, nonchè per l’ordine, che si diceva da lui dato ai comandanti dei forti, di tirare sulla città, al primo accenno di sommossa o all’appressarsi di Garibaldi. I liberali, unitarii e autonomisti, facevano da parte loro vive premure ai ministri dimissionarii perchè rimanessero al loro posto. Il Re richiamò Spinelli la sera del 3, e gli fece intendere che aveva già in mente una risoluzione definitiva, e che forse il domani gliel’avrebbe comunicata. I ministri, pur non ritirando le dimissioni, rimasero al loro posto, ma l’agitazione a Napoli in quei giorni fu indescrivibile, anche perchè venne ad arte sparsa la voce che il Re avesse promesso alla plebaglia di far la santafede all’avvicinarsi di Garibaldi.


Il solo che sembrava incosciente di quel che avveniva, era don Liborio Romano, nuotante fra le opposte correnti, senza un fine preciso, nè la visione di quel ch’egli volesse; ma in apparenza sorridente e sicuro di se. Fin dal 20 agosto, egli (si legge nelle sue Memorie) aveva presentato al Re un memorandum, scritto da lui: memorandum, che non fu letto in Consiglio di ministri, ma che i ministri conoscevano, secondo egli afferma, senza darne prova. In questo documento, il Romano rilevava l’incompatibilità, ogni giorno crescente, fra il popolo e la dinastia, e la impossibilità nei ministri costituzionali di modificare disprezzare il sentimento pubblico come anche l’impossibilità di fermare Garibaldi, il quale, aiutato dal Piemonte, procedeva