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Le soluzioni colloidali 85

fino a renderli visibili. Per le soluzioni colloidali di metalli si ottiene con un processo di riduzione. Questa provoca un agglomerato di piccoli granuli intorno ad uno stesso centro di attrazione, e, sottoponendo all’osservazione ultramicroscopica il fenomeno, si può eseguire il formarsi di quei nuclei e l’accrescersi continuo di granuli che si rendono visibili, prima per diffrazione, e poi anche per visione diretta. Sono belle a questo proposito le esperienze del Zsigmondy, del Biltz, di Linder e Picton. In una soluzione colloidale di oro il Zsigmondy1 dalla conoscenza della quantità di oro contenuto nell’unità di volume del liquido e dalla numerazione delle particelle che si rendevano visibili, con l’ipotesi che i granuli primitivi fossero di forma sferica e avessero lo stesso peso specifico dell’oro comune, ha potuto determinare le dimensioni dei granuli primitivi invisibili. Il raggio di queste sferette risultò compreso tra 0,8 e 1,7 millimicron. Se si ricorda che le dimensioni delle molecole sono dell’ordine di cm. si capisce come tali soluzioni colloidali siano vicine alle vere soluzioni in cui le singole molecole sono separate.

L’andamento continuo da un tipo all’altro di soluzione, e con ciò la discontinuità della sostanza disciolta anche nelle soluzioni otticamente vuote, è stato dimostrato da The Svedberg2 per il loro modo di comportarsi nell’assorbimento della luce. Egli preparò una serie si soluzioni colloidali d’oro con granuli sempre decrescenti, mediante un processo di raffinamento e di setacciamento. Le più fine delle soluzioni erano otticamente vuote. Egli mandava un raggio di luce attraverso uno strato di soluzione di un centimetro di spessore e determinava l’assorbimento subito. Questo cresceva dapprima rapidamente col diminuire delle

  1. Zsigmondy R., Zeits. f. phys. Chem. 56, p. 65 (1906).
  2. The Svedberg, Zeits. f. phys. Chem. 65, p. 624 (1909) e segg.