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le fila, sollevin la Sicilia a ribellione: e richiedeli di lettere credenziali, che della congiura re Pietro certificassero. Avutele, sotto i panni stessi di frate, passa a corte di Roma.

Correa già l’anno milledugentottanta, e papa Niccolò a castel Soriano soggiornava, quando un fraticello gli fe’ chiedere occulta udienza; e raccolto, incominciò ad avvolgersi in misteriosi parlari, toccando la eccessiva potenza di Carlo, le ingiurie private al pontefice, le condizioni d’Italia. Procida nominossi alfine: all’attonito pontefice aperse quant’erasi ordito. Aggiungono, e par fola manifesta, ch’ei con l’oro bizantino comperasse l’assentimento del papa; il quale sì altamente ambiva, nè facea di mestieri corromperlo, perchè si volgesse a’ danni di Carlo1. Dicono, e la credo dello stesso conio, ch’entrato nella congiura, Niccolò per segretissime lettere confortasse l’Aragonese; e del siciliano reame investisselo. Ma guadagnato il papa, sopraccorrea Giovanni in Catalogna; trovava re Pietro lontano, così continuano quegli storici, da ogni speranza dell’impresa; ed egli ne presentava il pensiero, esponea le trame ordinate, mostrava i trattati e le lettere. Così svolse a’ suoi intenti il re d’Aragona. A ragguagliarne gli altri congiurati, ripiglia il viaggio: sbarca a Pisa; rivede il pontefice a Viterbo; i siciliani baroni a Trapani; quinci una galea veneziana sconosciuto il reca a Negroponte; di lì a Costantinopoli. E vien ultimato col Paleologo il trattato della guerra contro Carlo: a dar guarentigia più salda, un altro se n’appicca di parentado tra le

  1. Alcuni han creduto legger questo nei versi di Dante:
    E guarda ben la mal tolta moneta, ec.
    _Inf._, c. 19.

    Nell’appendice, io tento d’accostarmi ad una migliore spiegazione di questo luogo della Divina Commedia.