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disegni di Pietro; della cospirazione con Siciliani non fan motto; molto manco de’ congiurati raccolti in Palermo: e portan come gl’insulti de’ Francesi in quel dì, e più la «mala signoria che sempre accora i popoli soggetti, mosser Palermo»; che è la sentenza del sovrumano intelletto d’Italia1, contemporaneo, veggente più che altr’uomo, e rigorosamente verace. Nè le scomuniche e i processi dei papi, nè gli atti diplomatici susseguenti contengon l’accusa della congiura motrice immediata del vespro; ma biasman Pietro d’aver preso il regno dalle mani de’ ribelli, e averli sollecitato per messaggi dopo la rivoluzione. Concorre con l’autorità istorica la evidenza delle cagioni necessarie d’altri fatti che son certi: Pietro non essere uscito di Spagna, nè pronto, allo scoppio della rivoluzione: in questa nessuno scrittore far menzione del Procida: niuno de’ maggiori feudatari primeggiar ne’ tumulti, o nei governi che ne nacquero: la repubblica, non il regno di Pietro, gridarsi, e per cinque mesi mantenersi: popolani tutti gli umori: Pietro passar dopo tre mesi, e non in Sicilia, ma in Affrica: allora, stringendo i perigli, i baroni impadronitisi dell’autorità chiamarlo alfine al regno. Da questi e da tutti gli altri particolari, si scorge essere stata la rivoluzione del vespro un movimento non preparato, e d’indole popolana, singolare nelle monarchie dei secoli di mezzo. Se no; baroni che congiurano con un re, e gridan repubblica; cospiratori che senza essere sforzati da pericolo, danno il segno quando non hanno in punto le forze; fazione che vince, e abbandona lo stato ad uomini d’un ordine inferiore, sarebbero anomalie inesplicabili, contrarie alla natura umana, non viste al mondo giammai. Le varie narrazioni degli istorici, e i ricordi diplomatici leggonsi nell’appendice. A me par se ne raccolga: che Pietro

  1. Paradiso, canto 6.