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[1282] | del vespro siciliano. | 187 |
Ristretti in questo mezzo col re i più intinti nella rivoluzione, e
tutti gli esuli del regno di Puglia, affollantisi pieni di speranza
alla nuova corte, deliberavan sulle fazioni da imprendere contro il
nemico1. Del che eran tanto più solleciti, quanto ne’ privati
ragionari si mormorava già la trista sembianza della gente catalana;
male in arnese; lacera e abbronzata ne’ travagli d’Affrica; ondechè i
nostri poc’aiuto la estimaron dapprima contro i cavalier francesi, nè
se ne sgannarono che ai fatti2. E però avvisatisi di far
assegnamento sulle lor sole braccia, e su’ militari consigli del re,
ansiosamente chiedeano i Siciliani d’esser condotti a Messina; che a
tutti tardava liberar la generosa città3. Pietro usando questo
ardore, allor mandò intorno la grida: che tutt’uomo da’ quindici anni
a’ sessanta si trovasse in Palermo entro un mese, armato, e con
vivanda per trenta dì4. Ed ei con molta prestezza con le milizie
più spedite mosse per la strada di Nicosia e Randazzo; seguendolo,
ciascuna come potea, le altre schiere che s’ivano adunando: e fece
veleggiare il navilio alla volta del Faro. Manifesto disegno era
dunque affamar Carlo nel campo, tagliandogli per mare le comunicazioni
con la Calabria, e su pei monti ogni via a foraggiare nell’isola; il
qual consiglio appone a Giovanni di Procida chi il fa protagonista
della tragedia del vespro. Con certezza istorica si sa che Pietro,
disposte così le forze, bandiva solennemente la guerra; e a Carlo a
quest’effetto spacciava Pietro Queralto, Ruy Ximenes de