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del vespro siciliano. |
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Niccolò e Francesco, messinesi, Bonamico de Randi
milite, Giovanni Celamida da Traina, e più altri di Randazzo;
indettatisi con giuramento a tradire, non so qual credeano, la patria
o il re. E sì l’autorità del papa accecava le menti, che i due frati,
passati a Messina, avean ricetto nel chiostro delle suore di santa
Maria delle Scale; dal qual sicuro nido misteriosi usciano ad annodare
lor fili. Ma la cospirazione allargandosi trapelò. Un Matteo da
Termini, messovi sulle tracce dall’infante Giacomo, appostò alfine i
due frati predicatori, aiutato da due frati minori, Simone da Ragusa e
Raimondo, catalano; i quali il fecer cogliere a casa una femminuccia
mendica. Addotti allo infante, senza pur minaccia, svelavan per ordine
il trattato; e rimandati erano a Napoli con vestimenta, danaro, e
barca apposta; per clemenza non già, ma contemplazione e paura del
papa. L’abate fuggì: preso a Palermo, il mandavan prigione a Malta;
indi a Messina; e infine libero a corte di Roma. I men rei, al
contrario, gastigati severamente: dicollati a Messina i nipoti
dell’abate; Celamida alle forche; Bonamico, gittatosi nei boschi
dell’Etna a levar mano di disperati, fu accarezzato e svolto a parte
regia dalle arti di Matteo da Termini1. Così la congiura si dissipò
in Sicilia; mentre in Aragona terminava, senz’altro frutto che d’atti
crudeli e mortalità infinita, la guerra che, tornando alquanto
indietro nei tempi, ci faremo a narrare.
- ↑ Bart. de Neocastro, cap. 98.