Pagina:La guerra nelle montagne.djvu/33

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Il vento tagliente urlava sopra l’erba e tambureggiava sulle tavole dei baraccamenti. Un soldato seduto sopra una panca, ficcava chiodi in una scarpa e cantava una specie di nenia mentre batteva. Uno scoppio o due risuonarono in qualche punto lungo la strada nascosta, costruita di recente, che avevamo percorso, e i rimbombi eccheggiarono attraverso la vallata. Poscia la tromba di un’automobile squillò ben distintamente con un tono impetuoso e stridente.

«È la tromba del Re», disse qualcuno. «Forse viene qui. Udite! No: Egli passa altrove, per ispezionare qualcuna delle nuove batterie. Nessuno può dire quando capiti in mezzo a noi; ma Egli si trova sempre su qualche punto, lungo la linea, e nulla si fa che Egli non vegga».

L’osservazione non era diretta al soldato che rattoppava la scarpa; ma egli sorrise, come sorridono i soldati, udendo pronunziare il nome di un loro generale dei più popolari. Molti sono gli aneddoti piacevoli che si raccontano nell’esercito intorno al Re d’Italia. La sostanza di essi è che Egli è altrettanto uomo quanto uomo di Stato. I Re e i depositi di munizioni sono eccellenti bersagli per i velivoli; ma se l’aneddoto è vero — e certamente collima con altri del genere — vi è almeno un Re che spara di rimando, e colpisce giusto. Nessun equipaggiamento, o seguito speciale lo distingue da qualsiasi altro generale in tenuta di guerra, fino alla semplice striscia che indica un anno di servizio di guerra. Egli incede