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dai fianchi scavati, nei quali si stavano accumulando tutti i rifiuti e tutte le lordure che l’inverno aveva nascosto. Squadre di soldati e operai lavoravano a smaltire queste materie; ma nessun puzzo emanava da essi. Altre squadre riparavano alacremente le buche prodotte dalle granate; poichè ai carri non piacciono le fermate. Un altro paese, costruito sulle pietre, appariva vuoto; soltanto vi erano dei cuochi ed uno o due lavoranti addetti alle riparazioni stradali, dall’aspetto annoiato. La popolazione trovavasi o per il monte, occupata a scavare e ad esplodere mine, oppure in avallamenti boscosi, simili a parchi, dove i battaglioni si muovevano come ombre tra i pini attraverso la nebbia. Quando giungemmo all’orlo del monte, non vi trovammo, come al solito, nulla, eccetto taluni riquadri di erbe sconvolte, ed una casa «insalubre» — il nocciolo battuto di ciò che era stata una volta un’abitazione di esseri umani — con lo stillicidio della pioggia che sgocciolava attraverso le volte cristalline. La vista di lassù si estendeva ad alcune trincee austriache situate su versanti bianchicci e si sentiva anche il rombo dei cannoni austriaci, non pigri questa volta, ma smaniosi, queruli, dalla intonazione quasi interrogativa. Ma da parte nostra non ebbero risposta.
«Se vogliono qualche cosa, possono venire qui a trovarci» disse l’ufficiale. Io pensava che cosa mai non avrebbero dato i soldati dietro quei cannoni per prender posto — qualche ora soltanto sul carro che ci trasportava lungo un’altra linea na-