Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
la leggenda di tristano | 209 |
assai lo forestiero di voi, ch’egli per lo mio amore vi procuri
sí ch’egli vi guerisca tosto. Ma tutta fiata io sí dimorroe con
voi, dinfino a tanto ch’io saproe tutto vostro convenentre».
E quando l’Amorat intese queste parole, fue molto doloroso,
e disse a T.: «T., io vi priego che voi sí dobiate dimorare
qui meco iij giorni, e forse per aventura e’ porá essere che
in capo di tre giorni io sí potroe cavalcare e portare arme;
imperciò ch’io per lo certo io vorò venire con voi, quando
e’ vi piaccia e voi vogliate». E quando T. intese queste parole, fue molto allegro e disse: «Per mia fé, Amoratto, questo
farò io volontieri».
A tanto sí lasciano loro parlamento, e T. sí comanda che le tavole siano messe, imperciò che l’ora del mangiare si era venuta. E quando lo forestiero intese lo comandamento di T., disse: «Cavaliere, questo fie fatto ala vostra volontade». Ed incontanente andò e sí mise le tavole. E quando le tavole fuorono messe, e T. e l’Amorat andarono a tavola; ma Ghedin non vi potea andare, imperciò ch’egli era troppo malamente fedito. Ma dappoi che li due cavalieri fuorono a tavola, e le vivande sí vennero a molto grande dovizia, e quando le vivande fuorono venute, ambodue li cavalieri sísí incominciarono a mangiare, e Ghedin si mangiava in camera. Ma T. sí mangiava, imperciò che a lui sísí abisognava assai, imperciò ch’egli si era istato per due giorni, ch’egli non avea mangiato. Ma tanto dimorarono in cotale maniera, ched eglino sí si levarono da tavola e andaronsi trastulando per uno giardino, lo quale giardino s’iera indela casa delo forestiero, ed iera molto bello e dilettevole. E quando eglino fuorono ambodue nelo giardino, ed eglino sí incominciarono a parlare insieme de’ buoni cavalieri dela Tavola ritonda. E istando in cotale maniera, e T. disse a l’Amoratto: «Dimi, Amorat, se Dio ti salvi, combatteste voi ancora con monsignore Lancialotto? Lo quale m’è lodato [come] lo fiore di tutti gli altri cavalieri; ond’i’ ho maggiore volontade di vedere lui, che di neuna cosa che a me potesse addivenire».