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Pagina:La secchia rapita.djvu/117

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104 CANTO


LI.


E d’una punta nella coscia il fiede.
     Volge Perinto, e ’l ferro a un tempo abbassa:
     Ma ei si ritira, e dell’antico piede
     412D’un olmo si fa scudo, e ’l campo lassa.
     Quei l’incalza fremendo; ed egli cede,
     E va girando e fugge e torna e passa.
     Così corre alla pianta e si difende
     416Il ramarro che ’l bracco a seguir prende.

LII.


Iaconía capitan de’ Soraggini,
     Ch’amava Ernesto più che la sua vita;
     Poichè gli occhi rivolse ai rai divini
     420Onde l’anima accesa era invaghita,
     E ’l vide star sugli ultimi confini,
     Corse precipitoso a dargli aita,
     Abbandonando i suoi che mal condotti,
     424In fuga se ne gían sbandati e rotti.

LIII.


In arrivando il ritrovò piagato
     Nel destro fianco: e dalla doglia vinto,
     Spinse il destrier d’un salto; e ’l brando alzato,
     428Sulla fronte a due man ferì Perinto:
     E se non che quell’elmo era temprato
     Per man del saggio Argon, l’avrebbe estinto;
     Ma di se tolto, e di cader in forse,
     432Portato dal destrier qua e là trascorse.

LIV.


Al garzon, Iaconía rivolto allora:
     Ernesto, gli dicea, la nostra gente
     Rotta si fugge, e noi facciam dimora,
     436E perdiamo la vita inutilmente.
     Deh non voler che cada insieme a un’ora
     Mia viva speme, e tua beltà innocente.
     Vattene, rispond’ei; che ’l destrier mio
     440Vendicar voglio, o qui morire anch’io.