Pagina:La secchia rapita.djvu/119

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106 CANTO


LIX.


E dicea il ver, s’un ostinato core
     Fosse stato del ver punto capace.
     Surse Perinto, e strinse con furore
     476La spada contro il giovinetto audace.
     Iaconía con quell’ultimo vigore
     Che gli somministrò l’alma fugace,
     Per impedire il colpo al ferro crudo,
     480Lanciò contra Perinto il proprio scudo.

LX.


Ma quello sforzo aprì la piaga, e sparse
     L’alma col sangue: e certo fu peccato;
     Ch’amico più fedel non potea darse,
     484E non bevea giammai vino innacquato.
     Lo scudo ch’ei lanciò, venne a incontrarse
     Nel braccio che spingea Perinto irato,
     E nel volto e nel petto e nella mano;
     488E gli fe’ rimaner quel colpo vano.

LXI.


Ma che pro, se ’l garzon non si ritira,
     E nuova fiamma al vecchio incendio aggiugne?
     Colpi raddoppia a colpi, e a ferir mira
     492Dove s’apre la piastra e si congiugne.
     Perinto avvampa di disdegno e d’ira;
     E d’una punta a mezzo il ventre il giugne.
     La panciera d’Ettor, ch’era incantata,
     496Non gli avrebbe la vita allor salvata.

LXII.


Cade Ernesto morendo in sulla piaga,
     E chiama Iaconía che nulla sente:
     Esce un rivo di sangue, e si dilaga;
     500S’oscura de’ begli occhi il dì lucente:
     L’anima sciolta disdegnosa e vaga
     Dietro all’amico suo vola repente.
     Salta Perinto in sul destrier che truova,
     504E ’l volge a ricercar battaglia nuova.