Pagina:La secchia rapita.djvu/122

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SESTO 109


LXXI.


E di vederne il fin già risoluto,
     Scendea dall’alto, e raccendeva l’ire;
     Quando un gigante orribile e cornuto
     572Gli apparve, e l’atterrì con questo dire:
     Che pensi? ogni ardimento è qui perduto:
     Pensa di ritirarti o di morire.
     Ecco ti svelo i lumi: or tu rimira
     576Della terra e del ciel lo sforzo e l’ira.

LXXII.


Vedi là guerreggiar l’empia Bellona,
     Tinta di sangue, incontro alle tue schiere:
     Vedi il superbo Figlio di Latona
     580Quanti coll’arco suo ne fa cadere.
     Marte ch’in tuo favor pugna, abbandona
     Stanco e sudato omai le tue bandiere.
     Tu a raccolta le chiama, e le conserva
     584Dallo sdegno di Febo e di Minerva.

LXXIII.


Qui tacque il fero mostro; e in un momento,
     Come sparisce il sogno all’ammalato,
     Ritirò il piede, e si converse in vento,
     588E ’l Potta di stupor lasciò ingombrato.
     Bacco era questi, a generar spavento
     In quella forma orribile cangiato,
     Che combattuto avea col Dio di Cinto,
     592E si partia della battaglia vinto;

LXXIV.


E giva a ricercar novo partito,
     Perchè non fosse il popol suo disfatto.
     Rimase il Potta attonito e smarrito,
     596E si fe’ il segno della croce a un tratto;
     Ch’un demonio il credè, fuor di Cocito
     A spaventarlo in quella forma tratto.
     Stette sospeso un poco; indi fe’ quanto
     600Descritto fia da me nell’altro canto.