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Pagina:La secchia rapita.djvu/135

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122 CANTO


XLVII.


Il Potta pien di rabbia e disperato,
     Gridava colla bocca e colle mani;
     Ma non potea fermar da nessun lato
     380Lo scompiglio e ’l terror de’ Gemignani:
     E dall’impeto loro alfin portato,
     Costretto fu d’abbandonar que’ piani;
     Benchè tre volte e quattro, in volto fiero,
     384Spignesse tra i nemici il gran destriero.

XLVIII.


Correndo intanto, e traversando il lito,
     Senz’elmo, e molle e polveroso tutto,
     Il Conte di Culagna era fuggito,
     388E giunto alla città piena di lutto.
     Narrato avea fra il popolo smarrito,
     Che ’l re prigione, e ’l campo era distrutto:
     Onde i vecchi e le donne al fiero avviso
     392Fuggian chi qua chi la, pallidi in viso.

XLIX.


Corsero gli anzían tutti a consiglio
     Per consultar ciò che s’avesse a fare.
     Molti volean nel subito periglio
     396Fuggirsi, e la cittade abbandonare:
     Altri dicean ch’era da dar di piglio
     A tutto quel che si potea portare,
     E salir sulla torre allora allora;
     400E chi non vi capia, stesse di fuora.

L.


Surse all’incontro un Bigo Manfredino
     Che sedea appresso a Carlo Fiordibelli,
     E disse: Senza pane e senza vino;
     404Che vogliamo cacar lassù, fratelli?
     Questi sono consigli da un quattrino,
     Che non gli sosterrian cento puntelli:
     Però i’ vorrei, se ’l mio parer v’aggrada,
     408Cavar un pozzo in capo d’ogni strada,