Vai al contenuto

Pagina:La secchia rapita.djvu/160

Da Wikisource.

OTTAVO 147


LXXI.


Lucrezia venne in sala ad incontrarlo
     Con la conocchia, senza servidori.
     Tutta lieta venia per abbracciarlo:
     572Ma vedendo con lui tanti signori,
     Trasse il pennecchio, che volea occultarlo,
     E dipinse il bel volto in que’ colori
     Ch’abbelliscon la rosa; e fe’ chiamare
     576Le donne sue che stavano a filare.

LXXII.


Di consenso comun la regia prole
     Diede il vanto a costei di pudicizia.
     Dormiron quivi; e allo spuntar del sole
     580Ritornarono al campo e alla milizia.
     Ma la bella sembianza e le parole
     Rimasero nel cor pien di nequizia
     Del fiero Sesto, un de’ fratelli regi,
     584E le caste maniere e gli atti egregi.

LXXIII.


Onde il dì quinto, ripassando il monte,
     Tornò a Collazia, sol, là dov’ell’era;
     E giunto all’imbrunir dell’orizzonte,
     588Disse ch’ivi alloggiar volea la sera.
     La bella donna, non pensando all’onte
     Ch’ei preparava, gli fe’ lieta cera.
     La notte il traditor saltò del letto,
     592E alla camera sua corse in farsetto:

LXXIV.


E la porta gittò mezzo spezzata,
     Entrando col pugnal nella man destra.
     Quivi una vecchia che dormia corcata
     596In un letto di vinco e di ginestra,
     Incominciò a gridar da spiritata:
     Ond’ei la fe’ balzar per la finestra;
     Ed a Lucrezia che facea schiamazzo,
     600Disse: Mettiti giuso, o ch’io t’ammazzo.