Pagina:La secchia rapita.djvu/165

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152 CANTO


XI.


E mentre ancor durava il gran tremore,
     Ricoperse ogni cosa un nuvol denso,
     E balenò improvviso, e allo splendore
     92Seguì uno scoppio orribile ed immenso,
     Che strignendo gli spirti e ’l sangue al core,
     Fe’ rimanere ognun privo di senso;
     E giù col tuono un fulmine discese,
     96Che percosse nel monte, e quel s’accese.

XII.


S’accese il monte, e tutto in fiamma viva
     Fu convertito in un girar di ciglio;
     E in mezzo della fiamma ecco appariva
     100Mirabilmente un padiglion vermiglio.
     Il nobil lin, di cui già tele ordiva
     L’antica età, d’incombustibil tiglio,
     Tal fra le pompe regie in Oríente
     104Fu visto rosseggiar nel foco ardente.

XIII.


Lasciò la fiamma il monte incenerito,
     E ’l ciel tornò seren com’era pria.
     E intanto fu di cento trombe udito
     108Un misto suon di guerra e d’armonia.
     Il lume ritornò, ch’era sparito,
     Sulla colonna; e ’l padiglion s’apria,
     E n’uscian cento paggi in bianca vesta,
     112Tutta di fiori d’or sparsa e contesta.

XIV.


Bruni i fanciulli avean le mani e ’l viso,
     E parean tutti in Etiopia nati.
     Un poeta gli avrebbe all’improvviso
     116Alle mosche nel latte assomigliati.
     Fuor di due porte il nero stuol diviso
     Uscì con torce accese; e in ambo i lati
     Si distinse con lunga e dritta schiera,
     120E lasciò vota in mezzo una carriera.