Pagina:La secchia rapita.djvu/173

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160 CANTO


XLIII.


Restar gli scudi, e Paolo e Sagramoro
     Negli orli impressi. Indi a giostrar si mosse,
     Sovra un corsier di pel tra bigio e moro,
     348Un cavalier con piume bianche e rosse,
     E sopravvesta di teletta d’oro,
     Ricamata a troncon di perle grosse,
     Ch’una mano di paggi intorno avea
     352Vestiti a superbissima livrea.

XLIV.


Questi era un cavalier non più nomato,
     Figlio d’un Romanesco ingannatore
     Che pria fu rigattier, poi s’era dato
     356In Campo Merlo a far l’agricoltore,
     E ’l grano e le misure avea falsato
     Tanto, che divenuto era signore;
     E per aggiugner gloria al figlio altiero,
     360Quivi dianzi il mandò per venturiero.

XLV.


Costui sen venia gonfio come un vento,
     Teso, ch’un pal di dietro aver parea.
     Fu conosciuto all’armi e al guernimento
     364E alla superba sua ricca livrea.
     Potrei rassomigliarlo a più di cento
     Di non forse inegual prosopopea;
     Ma toccherei un mal vecchio decrepito,
     368E la zerbineria farebbe strepito.

XLVI.


Ninfeggiò prima, e passeggiò pian piano;
     Poi maneggiò il destriero a terra a terra,
     Infinchè si ridusse in capo al piano,
     372Dove s’avea da incominciar la guerra.
     Ecco la tromba; ecco coll’asta in mano
     Vien l’uno e l’altro, e fa tremar la terra:
     Risonarono i lidi alle percosse,
     376Nè a quell’incontro alcun di lor si mosse.