Pagina:La secchia rapita.djvu/178

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NONO 165


LXIII.


Serva son io, rispose la donzella,
     E troppo per me fora alta mercede:
     Possiede il mio signor terre e castella,
     508Nè inchinerebbe alla mia sorte il piede.
     Renoppia allora, astuta come bella:
     Se questo è, soggiugnea, fategli fede
     Ch’io mi chiamo ubbligata a quel valore
     512Che mostra colla lancia in farmi onore.

LXIV.


E sebben forse avrei più caro avuto
     Ch’in soccorso de’ nostri a vero marte
     Coll’armi, per mio amor, fosse venuto
     516Senza apparecchio alcun di magic’ arte;
     Pur l’affetto gradisco, e lo saluto;
     E questa gli darete da mia parte.
     E di seno, a quel dir, senza intervallo
     520Si trasse una crocetta di cristallo,

LXV.


Dov’era un dente di san Gemignano,
     E papa Onorio l’avea benedetta;
     E finse porla alla donzella in mano,
     524Che la desse al Guerrier dell’isoletta:
     Ma quella sparve come un sogno vano,
     Al subito toccar della crocetta;
     E sparvero con lei paggi e scudieri,
     528E rimasero sol gli scudi veri.

LXVI.


Lesse i nomi Renoppia; e quelli rese,
     Ch’esser trovò de’ cavalieri amici;
     Gli altri di ritener consiglio prese
     532Come spoglie e trofei de’ suoi nemici.
     Intanto il giostrator seguia sue imprese
     Con gli usati successi ognor felici;
     Quand’un guerriero ignoto in veste gialla
     536Al ponte capitò su una cavalla.