Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1842, I.djvu/368

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bione. 333

       Quei che disse non essere gli dei,
       Che mai non vide un tempio, e che i mortali.
       Quando sagrificavano agli dei,
       Solea tanto deridere; non solo,
       Sul fuoco, sull’altar, sovra la mensa
       Adipe, fumo, incenso arse de’ numi
       Alle nari; non sol disse: Peccai,
       Del passato pietà! ma facilmente
       Die’ da incantare il collo ad una vecchia,
       E persuaso a cingersi fu il braccio
       Di pelle; e il bianco spino e il ramoscello
       Dello allor pose sulla porta. A tutto
       Fuor che a morir parato. E volta stolto
       Che la divinitade avesse un prezzo,
       Quasi fosser gli dei, quando a Bione
       Di volerli paresse! Invano adunque
       Saggio, se allor che tutto era carbone
       Tese, imbecil, le braccia, e press’a poco
       Così: Salve, sclamò, salve, Plutone.


XI. V’ ebbero dieci Bioni. — Il primo contemporaneo del siro Ferecide, di cui si hanno due libri. Egli è proconnesio. — Il secondo siracusano, che scrisse dell’arti rettoriche. — Il terzo, quest’esso. — Il quarto filosofo democriteo e matematico, abderitano; scrisse in lingua attica e ionica. Costui primo disse che vi erano alcuni luoghi abitati, dove la notte è di sei mesi, e di sei il giorno. — Il quinto da Soli, che scrisse delle cose etiopiche. — Il sesto, retore, del quale ci rimangono nove libri intitolati dalle Muse. — L’ottavo, statutario da Mileto, che è ricordato anche da Polemone. — Il nono, poeta da tragedie, di que’ che dicono Tarsici. — Il decimo, scultore, clazomenio o da Chio, di cui fa menzione Ipponace.