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Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1842, I.djvu/51

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solone. 29

mini; e persino lascio governare alle leggi che tu hai dato agli Ateniesi, le quali meglio al certo ci reggono che in democrazia. Io non permetto che ad alcuno si faccia ingiuria; e, come tiranno, nulla ottengo di più di una maggior dignità e dell’onore; e di quelle ricompense che erano fissate a chi prima aveva regnato. Ogni Ateniese paga la decima de’ suoi fondi, non a me, ma per la spesa che si fa ne’ pubblici sagrificii, od in altro di comune, o nelle guerre che ci soprarrivano. Nè io voglio lagnarmi di te, perchè hai fatto palese il mio pensiero; chè amore alla città piuttosto che odio verso di me hai inoltrato; e tu ignoravi ancora come mi sarei condotto nel comando; altrimenti, saputolo, avresti forse comportato il mio innalzamento, nè saresti fuggito. Ritorna dunque a casa, credilo a me anche senza ch’io il giuri, nulla di sgradevole sarà per patire Solone da Pisistrato. E sappi che nessuno de’ miei nemici n’ebbe a sofferire di sorta. Che se stimerai a proposito di essere uno dei miei amici, sarai tra’ primi, chè in te non iscorgo nè frode, nè perfidia; se di abitare altrove che in Atene, il farai ad arbitrio, e per cagion nostra non ne sarà priva la patria“.

VII. Così Pisistrato — Solone disse termine dell’umana vita i settant’anni — Bellissime si stimano anche queste sue leggi: Chi non alimenta i genitori, sia infameSia tale chi fonde la paterna sostanzaL’ozioso sia soggetto a render conto di sè a quanti vorranno accusarlo — Lisia però nell’orazione contro